Genius. Il fiume delle parole

Il nostro parere

Genius (2016) USA di Michael Grandage

L’incontro tra lo scrittore Thomas Wolfe e l’editore Max Perkins ha portato alla pubblicazione dei romanzi più importanti dello scrittore americano, scomparso prematuramente. Perkins, scopritore anche di Fitzgerald e Hemingway, comprende subito lo spessore del giovane autore e investe su di lui, anche affettivamente, per sgrezzare il suo lavoro, rendendolo fruibile, portandolo alla fama. Più Perkins si lega allo scrittore, facendo di lui il figlio maschio che non ha mai avuto, più invece Wolfe si nutre dell’energia dell’editore, aumentando in modo smisurato il proprio ego, distruggendo tutto quanto ha costruito nella vita. Il rapporto tra i due va in frantumi quando Wolfe ritiene di poter fare a meno del suo mentore, considerandolo come un nemico che vuole oscurarlo.

Grandage, un famoso regista teatrale inglese, vincitore di tantissimi premi in patria e anche in America, ha deciso di raccontare una storia di amicizia virile e una passione spirituale per l’opera di un uomo. L’editore Perkins resta ipnotizzato dal flusso di parole dell’opera di Wolfe, che memorabilmente scorrono nel film semplicemente narrate e lette, e si innamora di uno stile di scrittura fulminante, avvolgente. Contemporaneamente si lega all’uomo, tenero ed indifeso: il figlio maschio che non ha mai avuto, un compagno spirituale, in una spirale in cui entrambi sono per l’altro il completamento del proprio pensiero. Affidandosi ai due interpreti (Law sopra le righe ed esplosivo, Firth sottotono e misurato) Grandage tratta un incontro di anime all’incrocio della letteratura del novecento. Si rifugia poi nel classico finale da biopic, in cui necessariamente si deve dare un senso a quanto raccontato, ma resta il testo: sonoro e vibrante.

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