Adozioni sullo schermo

di Massimo Morelli

Il cinema si è sempre interessato di adozioni e lo ha fatto ad altissimo livello fin dagli albori della sua storia. Ancora oggi, a più di ottant’anni di distanza, “Il monello” di Charlie Chaplin continua a lasciare un segno nel profondo del nostro cuore.

Non in tutti i casi gli adulti dimostrano di adottare dei minori come conseguenza di una scelta consapevole. In “Central do Brasil” di Walter Salles, la non più giovane Dora, tormentata dai sensi di colpa, decide di seguire il piccolo Josué e vagabondare con lui per il paese alla ricerca del padre, mentre nel film di Gianni Amelio “Il ladro di bambini”, interpretato con intensità da Enrico Lo Verso, un carabiniere calabrese cerca prima di svolgere bene l’incarico ricevuto, accompagnare Rosetta e Luciano in un orfanotrofio, poi scopre di provare in realtà un affetto sincero nei confronti dei due bambini, rifiutati persino dalle istituzioni.

Non sempre alla fine del viaggio i minori sono attesi da un epilogo felice: se in “Paper moon (Luna di carta)” di Peter Bogdanovich, la protagonista trova il modo di arricchirsi vendendo bibbie o la piccola “Annie” del film di John Huston, sa come fare breccia nel cuore di un miliardario perché lui si decida ad adottarla, ne “I giorni del cielo” di Terrence Malick ed in “Sugarland express” di Steven Spielberg, il viaggio è una fuga disperata destinata a concludersi tragicamente.

Anche nella drammatica rievocazione della Storia, il cinema d’autore individua percorsi di adozione: con l’accorato “Dottor Korczak”, Andrzej Wajda ricorda il sacrificio di Henryk Goldzmitt, un uomo che dedicò, durante l’occupazione nazista della Polonia, tutte le sue energie all’aiuto dei bambini orfani di Varsavia, deportato ed ucciso insieme a loro a Treblinka.

“La storia ufficiale” di Luis Puenzo e “Figli – Hijos” di Marco Bechis, sono due film coraggiosi, di grande impegno civile che affrontano il problema delle adozioni dei figli di desaparecidos, da parte di persone compromesse con il regime argentino. Si può essere adottati con le motivazioni più disparate: scientifiche sono per esempio quelle del dottor Itard nei confronti de “Il ragazzo selvaggio” di François Truffaut, bizzarre quelle relative ad imprevedibili scambi di culla, che avvengono, a causa di infermiere distratte, sia ne “La vita e’ un lungo fiume tranquillo” di Etienne Chatiliez, sia in “Toto le héros – Un eroe di fine millennio”, di Jaco Van Dormael, nell’inevitabile confusione durante un incendio.

Esistono inoltre situazioni che potremmo definire veri e propri casi di adozioni a tempo determinato: in “Mignon e’ partita” di Francesca Archibugi, la sofisticata cugina francese, allontanata per precauzione dalle difficoltà giudiziarie che affliggono il padre, viene ospitata per alcuni mesi dai suoi parenti romani. Di breve durata, ma non per questo meno impegnativo, è anche il soggiorno della piccola neonata che, abbandonata temporaneamente dalla madre, costringerà il padre e due simpatici suoi amici, ad assumersi le proprie responsabilità nel film di Coline Serreau “Tre uomini e una culla”. Infine non bisogna dimenticare una serie di adozioni, tra le più stravaganti ed originali, che coinvolgono contemporaneamente esseri umani, animali e strane creature. Dall’innocente “E.T. l’extra-terrestre” di Steven Spielberg, al simpatico “Stuart Little – Un topolino in gamba” di Rob Minkoff, con Tarzan, ormai cresciuto, che si gode lo Spettacolo!

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