I 10 capolavori di Michelangelo Antonioni

Il 29 settembre del 1912 nasceva Michelangelo Antonioni. 100 anni e pochi ricordi. E’ vero, ci sono state mostre e nella nicchia degli amanti e degli studiosi di cinema si è ricordato la data, ma a livello di media poco o nulla. La crisi, la politica (la politica?), gli scandali possono certamente mettere in secondo piano una tale ricorrenza, ma non è questo il motivo della dimenticanza. In realtà, in Italia c’è un deficit culturale spaventoso perchè la memoria collettiva è seppellita, rimossa, modificata dal “nuovo”, un presunto nuovo che nasconde il vuoto assoluto. Così s’annega il pensiero degli italiani che non sanno neppure più di essere stati tra coloro che hanno insegnato il cinema al mondo.

Tra i tanti, c’è Antonioni che ha creato un cinema particolare, certamente intellettuale, che sapeva parlare all’inconscio, che sapeva narrare dei movimenti sotterranei che modificano un popolo nella sua profondità. Nei suoi film non c’è solo l’incomunicabilità della società, la crisi dell’uomo moderno, le angosce della borghesia. Queste sono pillole per chi deve dare un’etichetta ad un artista. Queste cose ci sono, ma c’è molto di più nella sua cinematografia. C’è la capacità di far entrare i movimenti culturali, artistici e filosofici all’interno di un’opera d’arte; c’è la volontà di sperimentare, ricercare, di mettersi in discussione, di immaginare un nuovo cinema, un nuovo mondo. C’è questo e molto altro ancora.

 

10. Gente del Po (1947) Questo documentario è il più famoso tra quelli da lui realizzati, ma non è l’unico. Da ammirare lo sguardo lucido, il sapiente utilizzo delle immagini. Un capolavoro.


9. Cronaca di un amore (1950) E’ il suo film d’esordio già maturo, già ricco di elementi. Lucia Bosè è la protagonista, insieme a Massimo Girotti. Notevole lo sguardo artistico dell’ambientazione, ricco di riferimenti iconici all’arte contemporanea.


8. La notte (1961) Film ricco di riferimenti alle correnti culturali e alla letteratura d’avanguardia. Si definiscono meglio gli elementi cardine della sua poetica, quali l’alienazione dell’uomo nella società ed il suo disagio esistenziale, il sesso inteso come desiderio di trovare un rapporto con gli altri nell’esaurirsi dei sentimenti, l’incomunicabilità in una civiltà industriale conformista, venale, spiritualmente stanca, ed il tema della donna come essere più sensibile ed avanzato della comunità, più consapevole della crisi nella quale è immersa. Grandi Moreau e Mastroianni, insieme alla giovane Monica Vitti, compagna di vita del regista e sua musa per una decina di anni.


7. L’eclisse   (1962) È il capitolo conclusivo della cosiddetta “trilogia esistenziale” o “dell’incomunicabilità”. Presentato in concorso al 15º Festival di Cannes, vinse il Premio speciale della giuria, ex aequo con Il processo di Giovanna d’Arco di Robert Bresson. Altra collaborazione con la Vitti, qui accompagnata da Alain Delon. Il boom economico porta con sè la profonda crisi esistenziale dei protagonisti, inseriti all’interno di un paesaggio urbano metafisico.

6. Professione Reporter   (1975) «Antonioni – ha scritto Alberto Moravia ai tempi de La notte e L’eclisse- è simile a certi uccelli solitari che hanno un verso solo da cantare e lo provano notte e giorno. Attraverso tutti i suoi film egli ci ha dato questo suo verso e soltanto questo»; cioè, uscendo fuor di metafora, «una sola ma profonda nota: l’aridità dei rapporti, la brutalità della vita moderna, lo squallore del destino umano». Qua siamo al respiro internazionale, alla commistione con il cinema americano, con l’interpretazione di un totem: Jack Nicholson.

5. Il Deserto Rosso  (1964) La protagonista Giuliana è insofferente della vita che conduce e incapace di superare i limiti di un esistenza inutile. Il suo matrimonio è in crisi e non vale il rapporto amoroso con Corrado, l’eclisse dei sentimenti conduce inevitabilmente al deserto della vita. Monica Vitti è la protagonista insieme a Richard Harris.

4. Il grido   (1957) Aldo vuole ricostruirsi una vita, vuole ricominciare, ma tutto sembra essere inevitabile, tutto conduce al nulla. Non esiste niente per cui valga la pena vivere.

3. Zabriskie Point  (1970) Come Professione Reporter e Blow up è girato in inglese. Fuga, scelta individuale, amore, consumismo e morte. I temi cari ad Antonioni sono tutti miscelati con perfetto dosaggio in Zabriskie point, manifesto di un’utopica sconfitta della società dei consumi. Il regista, abbandonata ogni confidenza con il carrello, pianta la cinepresa distante dagli avvenimenti, lontana dai personaggi, ponendo maggiormente l’accento nel rapporto tra piccolo e grande, tra individuo e mondo. Il deserto come metafora del vuoto nel quale gli incontri hanno un significato particolare, si oppone nella seconda fase del film alla città che occupa invece tutta la prima parte, descritta solo attraverso le inquadrature d’insegne pubblicitarie, per la verità inquadrate con la stessa volontaria caoticità visiva usata nella sequenza con la quale si apre il film, durante una riunione del collettivo universitario, anche questo come gran supermercato delle idee collettive dal quale Mark si allontana. Incontro tra cielo e terra, nascita dell’amore a seguito della morte. Fine del soggetto e predominio della merce.

 

2 L’avventura  (1960) Il film segna l’inizio del sodalizio sentimentale-artistico fra Antonioni e Monica Vitti. Questa denuncia della fragilità dei sentimenti codificati dalla morale corrente rientra nel paragrafo, come si è visto caro ad Antonioni, dell’incomunicabilità, cioè della noia in senso moraviano, o meglio che Moravia ha rianalizzato nel suo ultimo romanzo: l’impossibilità di stabilire un rapporto concreto con l’individuo e la realtà, fra l’oggetto e il soggetto, il pensiero e la realtà; la mancanza di rapporti concreti con le cose, con se stesso e gli altri.  (G. Aristarco)

1. Blow up (1966) Ispirato ad un racconto di Cortazar, ma ambientato nella fenomenale Swinging London degli anni sessanta. Straordinaria riflessione su qual è il rapporto tra la realtà e l’astrazione, tra l’immaginario e il vissuto. La società è indifferente alle tragedie altrui, persa nelle sue rivoluzioni giovanili, nelle mode, nella ricerca di qualcosa che non c’è: come il cadavere intravisto in una fotografia.

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