La poesia come martirio: Pasolini-Roma

di Gianfranco Angelucci

Il Palazzo delle Esposizioni, a Roma, presenta fino a Luglio una mostra su Pier Paolo Pasolini, con più di un anno di anticipo sulle celebrazioni che si avvicenderanno per tutto il 2015, a quaranta anni dalla tragica scomparsa. E’ un’esposizione di pregio che occupa l’intero piano d’ingresso dell’edificio, articolandosi in sei stazioni, come una via crucis del poeta che fu trucidato la notte del 2 novembre 1975 tra lo sgomento di tanti e il segreto compiacimento di chi pensava: se l’è cercata.

Il presagio era nell’aria, egli stesso l’aveva scritto arrivando a Roma nel 1950, anno del Giubileo: “Amo la vita così ferocemente, cosi disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza: è un vizio molto più tremendo di quello della cocaina, non mi costa nulla, e ce n’è un abbondanza sconfinata, senza limiti: e io divoro, divoro… Come andrà a finire non lo so.”

Rimosso dall’insegnamento, espulso dal Partito comunista, denunciato per atti osceni con adolescenti, Pier Paolo fuggì praticamente da Casarsa, insieme a sua madre, mentre il padre a letto dormiva: “Ho vissuto quella pagina di romanzo, l’unica della mia vita”. Con Susanna si rifugiano a casa di un parente, nel ghetto ebreo, presso la Fontana delle Tartarughe con gli efebi nudi e bagnati che splendono al sole. Lei va a servizio per mantenere entrambi e presto si trasferiscono in periferia a Ponte Mammolo, vicino Rebibbia, in “una casa senza tetto e senza intonaco.” Pasolini insegna in un istituto privato di Ciampino per 27.000 lire al mese ma intanto scopre che “Roma è divina”.

Diventa amico di Sergio Citti, un pittore edile; impara a conoscere le borgate romane, il sottoproletariato, il suo linguaggio che costituirà la miglior fonte di ispirazione della creazione letteraria e cinematografica. A fianco di Sandro Penna frequenta le rive del Tevere, sperimenta la sessualità promiscua dei giovani maschi, centuplica la voglia di scrivere, che lo salverà, e lo porterà a contatto di letterati come Ungaretti, Gadda, Caproni, Bassani. Nel 1955 pubblica lo scandaloso “Ragazzi di vita” con cui ottiene la notorietà, e la stima degli scrittori romani, primi fra tutti Alberto Moravia e Elsa Morante. Pratica il mondo del cinema, collabora a sceneggiature di Soldati, Fellini, Bolognini, stringe amicizia con Laura Betti “moglie non carnale” come dirà a Godard. E torna a vivere dentro le mura di Roma, a Monteverde, in via Fonteiana, nello stesso stabile in cui abita la famiglia di Attilio Bertolucci; Bernardo diventa un suo pupillo.

La mostra a ogni tappa appresta mappe della città, documenti, feticci. Nella prima domina la stazione di Casarsa, l’arrivo a Roma Termini; nel secondo domina la FIAT 1100, sua prima auto, che dal parabrezza – schermo ci rimanda immagini di cronaca. L’ allestimento è concreto, vissuto, palpitante, mirabilmente ideato da Guri Casajuana per l’edizione di Barcellona. Ci sono manoscritti autografi, dipinti, libri, oggetti, cuffie per ascoltare la voce del poeta che recita i versi, espone le sue idee e posizioni. Un’immersione progressiva e globale. C’è la poesia scritta alla morte di Pio XII, nel ’58, un atto d’accusa che condurrà alla chiusura di “Officina”, la rivista fondata con Leonetti, Roversi e Fortini.

Gli anni scorrono sotto i nostri occhi, un’Italia che riconosciamo a stento e che invece è così utile ricordare! Nel ’61 esce “Accattone”, il poeta diventa regista; seguiranno “Mamma Roma” e “La ricotta”, splendido episodio denunciato per vilipendio alla religione. Pasolini solleva a ogni passo la polvere dei tribunali e ripulisce l’aria, ma a che costo! Entra in scena Ninetto Davoli, apprendista falegname e grande amore della sua vita.

Ormai benestante va a vivere in un ampio appartamento nei pressi di San Paolo. Il Paese sta cambiando, esplode la rivolta studentesca: agli scontri di Valle Giulia il poeta si schiera a fianco dei poliziotti “figli di contadini” e non di papà. Irriducibilmente scomodo pubblica sul Corriere della Sera gli “Scritti Corsari” dove attacca frontalmente “l’omologazione culturale” e consumistica che sta sfigurando l’Italia tanto amata. Diventa una sorta di maestro spirituale, venerato dagli intellettuali francesi. Si innamora di Maria Callas, gira film sempre più estremi: vediamo i copioni, le note di ripresa, le sequenze proibite, le foto di scena. Si scivola al termine del pellegrinaggio, celebrativo ma solo quanto basta. La fine è nota. Nel catalogo/laboratorio edito da Skira è racchiusa la storia del poeta, conservatore estetizzante e pertanto rivoluzionario. “Per il resto – che volete – / sono vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso”.

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