Una storia moderna – L’ape regina (1963) ITA di Marco Ferreri
Un impiegato quarantenne, scapolo e donnaiolo, si sposa con una ragazza apparentemente tranquilla, ma molto religiosa che dopo le nozze si trasforma in una mantide.
Ferreri torna in Italia per quest’opera che molto ha contribuito alla sua gloria donandogli un’aura di scandalo che manterrà lungo tutta la carriera.
Attento osservatore del mondo contemporaneo, Ferreri non critica la donna; al contrario riflette sul ruolo del maschio percepito come inutile, inadeguato in un contesto, siamo nel 1963, in cui la chiesa ha ancora un peso enorme. Per il regista, la Chiesa è dalla parte della morte e dell’oppressione; morte, la sottolinea a suo piacimento in più passaggi: è il santo rappresentato sdraiato, lo scheletro che accompagna l’atto amoroso della coppia, o anche il ritiro spirituale che ruota attorno al soggetto. Per lui non è la donna ad essere crudele, è il condizionamento prodotto dall’istituzione clericale, che favorisce la procreazione a scapito della vita genitoriale.
Tognazzi eccelle con la sua recitazione sfumata nel dare vita, attraverso una via crucis inedita: spesso divertente, un idealtipo di maschio borghese dell’Italia postbellica. Di fronte a un attore del genere, non sfigura Marina Vlady che, nonostante la giovane età, non era un’esordiente nel 1963. Ma l’idea della sua trasformazione, voluta senza dubbio dal regista, è un grande successo: sensuale all’inizio, fredda e opaca in un secondo momento, infine una donna d’affari vestita di occhiali, incarna maestosamente le diverse sfaccettature di un personaggio che rimane, in definitiva, enigmatico. La foto la rende luminosa, una carrellata in avanti che porta a un primo piano sembra rivelare la sua decisione fatale.
Nonostante un soggetto scabro e molto ardito, il film resta molto sapiente nella sua forma: la messa in scena è precisa, fine, senza dimostrazioni. Certo, Ferreri non è un esteta e non lo sarà nemmeno nei film successivi, ma già, rispetto alle opere spagnole