La trattativa. Visioni di parte

Il nostro parere

La trattativa (2015) ITA di Sabina Guzzanti

Il cinema impegnato della Guzzanti ha un grande limite, ovvero il suo sposare linee interpretative assai discutibili, senza alcun senso di autocritica. Il suo inneggiare alla magistratura si interrompe improvvisamente quando le sentenze smentiscono quanto detto da lei, quando i fatti dicono non che abbia torto, ma che nella ricostruzione abbia dimenticato particolari, versioni che potevano in qualche modo mettere in discussione gli assiomi da lei forniti. Nella sostanza, la sua è la verità assoluta e non c’è spazio per altro. Infatti, gli unici intervistati sono i magistrati e i loro teoremi come se non esistesse il diritto alla difesa, alla replica non certo dei mafiosi, ma di chi ha un’idea alternativa.

L’inchiesta giornalistica è un genere assai nobile. Il riferimento in Italia è Report della Gabanelli. Se l’intento della Guzzanti era fare un’inchiesta giornalistica, allora, non ci siamo perché proprio la Gabanelli insegna che si deve verificare sempre e che, soprattutto, vanno riportare le opinioni altrui anche se l’inchiesta ha mostrato esattamente l’opposto. La trattativa non è poi un documentario perché ha la struttura della fiction. Quindi è un film e come tale va giudicato, a prescindere dalle opinioni sui fatti narrati.

Nelle sue precedenti opere la Guzzanti aveva anche inserito elementi personali forti che avevano dato un senso all’intera pellicola. Qui ogni riferimento è assente, c’è solo l’animus pugnandi della polemista che, una volta per tutte, vuole mettere sotto accusa il sistema politico, mafioso, clientelare, omertoso che governa l’Italia.

Se la Guzzanti ha ragione, sarà la storia a decidere. Dal punto di vista estetico il film è fallimentare perché la narrazione è confusa, eccessivamente teatrale e asfittica. Il ritmo cinematografico è altra cosa e non aiuta l’idea che sia un gruppo di lavoratori (il linguaggio anni 70 stride davvero) dello spettacolo a ricostruire le vicende in una sorta di rappresentazione corale. Lo spunto narrativo si perde subito e non aiuta a collegare la miriade di nomi, eventi, spiattellati uno sull’altro come fosse la quantità di citazioni a dare una patina di credibilità maggiore. In più ci sono le diverse e fastidiose macchiette che cambiano improvvisamente registro senza una motivazione valida.

Sembra più uno sfogo che la volontà di trovare una verità.

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