Bronson (2008) UK di Nicholas Winding Refn
Il regista danese è uno dei più interessanti talenti in circolazione. Prima di sbarcare in America e colpire al cuore con Drive (poi c’è stato un mezzo passo falso con Solo dio perdona) ha avuto anche un breve periodo inglese in cui ha prodotto questo film.
Bronson spiazza inizialmente perché girato in uno stile quasi surreale con un qualità formale dell’immagine nitida, forte, espressiva. Una volta scivolati nella logica allucinata del protagonista (uno splendido Tom Hardy) l’opera diventa godibile nella sua stralunata follia, nell’uso violento dei colori e delle luci.
E’ una non storia, una narrazione per bocca del protagonista trasformato in clown, come clown nell’aspetto e negli atteggiamenti è il personaggio, realmente esistente, che sfida il mondo senza un’apparente logica. Nell’interpretazione di Hardy, magnifico, e nella gestione della scena di Refn traspare, però, un senso di rabbia, di impotenza verso la vita che racconta ben altro. La grande intelligenza del regista sta nel non dare risposte, nel lasciare l’interpretazione allo spettatore colpito, affascinato e disgustato da quanto vede.
Refn gioca, come in tutta la sua filmografia, sui contrasti, sulla centralità di un personaggio di cui nulla viene detto ma tutto è da intuire, sia pure solo tramite semplici analogie, mentre la regia ci allontana l’oggetto lasciandolo freddo e nauseante agli occhi dello spettatore.
Qua lo fa in modo magnifico.