Patagonia

Il nostro parere

Patagonia (2023) ITA di Simone Bozzelli

Yuri ha vent’anni e vive con l’anziana zia una vita ovattata nel grembo del piccolo paese abruzzese che è tutto il suo mondo. Ad una festa di compleanno incontra Agostino animatore girovago, che gli promette l’indipendenza.


“Patagonia”, il primo lungometraggio di Simone Bozzelli, è un’opera che riesce in un’impresa rara: essere contemporaneamente affascinante e ripugnante. Il film esplora i temi della libertà e della dipendenza, tracciando una linea sottile tra il desiderio di emancipazione e la necessità di essere guidati, ma lo fa in un modo che lascia lo spettatore spesso a disagio, se non addirittura disgustato.

Il film non esita a mostrare il degrado umano in modo crudo e diretto. Bozzelli utilizza una metaforica cinematografica semplice e talvolta troppo esplicita. La scena più disturbante, in cui Yuri viene letteralmente umiliato da Ago, è al contempo efficace e profondamente inquietante. È una sequenza che, pur essendo tecnicamente ben realizzata, solleva serie domande sull’etica della rappresentazione cinematografica.

Nonostante alcune somiglianze tematiche con altri film, come “La strada” di Fellini, “Patagonia” si distingue per la sua crudezza e per l’approccio spietato alla narrazione. Tuttavia, proprio questa spietatezza potrebbe risultare insopportabile per molti spettatori.

Il film di Bozzelli è certamente un’opera provocatoria, ma lo è forse a scapito di una visione più equilibrata e meno sensazionalistica. “Patagonia” lascia un’impressione duratura, ma purtroppo, più per il suo contenuto disturbante che per la profondità del suo messaggio. Se da un lato è un film che dimostra una certa tecnica e una coraggiosa esplorazione dei temi, dall’altro rischia di apparire noiosa nella ricercata esplicitazione della brutalità.

 

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