Becky Sharp – Primi in technicolor

Il nostro parere

Becky Sharp (1935) USA di Rouben Mamoulian

Becky è una popolana che esce da un collegio riservato ai ricchi. Riesce tuttavia a farsi accettare e ad essere ospitata dalla sua compagna di collegio, Amelia, una giovinetta di famiglia benestante, il cui fratello Joseph interessa molto a Becky. Sarà però proprio questo il fattore scatenante della disgrazia di Becky, che si fa cacciare e, per vivere, trova un lavoro, sistemandosi come governante in una famiglia facoltosa.

Passato alla storia come il primo lungometraggio con il sistemaTechnicolor a tre strisce, Becky Sharp è tratto da Vanity Fair di William Makepeace Thackeray, interpretato da una Miriam Hopkins scatenata e impertinente il giusto.

Iniziato nel 1934 con Lowell Sherman come regista, passò a Rouben Mamoulien al momento della morte improvvisa di Sherman. Mamoulian sfrutta al massimo delle sue potenzialità il nuovo processo cromatico, soprattutto durante la sequenza di apertura del Brussels Ball. Fino al suo recente restauro archivistico, Becky Sharp era disponibile solo in versione bicolore abbreviata, che aveva l’effetto negativo di diminuire i punti di forza del film e di enfatizzare eccessivamente i suoi punti deboli.

L’ascesa egocentrica di Becky Sharp attraverso l’elegante società è ben gestita, così come la protagonista Miriam Hopkins. I suoi dialoghi sono pieni di arguzia, umorismo e vivacità, le sue espressioni ugualmente avvincenti e il più delle volte piene di malizia e divertimento. Non è toccata dall’ipocrisia del mondo che la circonda e vive la vita alle sue stesse condizioni anche se è quello di ingannare le persone o di essere molto abile nel trattare con loro.

La bellezza formale e la qualità dell’intepretazione non fa dimenticare l’impostazione eccessivamente teatrale dell’opera.

 

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