Terroristi nel mirino – American sniper di Clint Eastwood

di Gianfranco Angelucci

Centotrentadue minuti di guerra e di odio, di polvere, di sangue, di macerie, di esplosioni, di case scheletrite, di corpi senza vita tra le sabbie del Medio Oriente. Vediamo con orrore nel quadrante di un fucile ad alta precisione, un bambino che si sforza di rialzare da terra il bazooka caduto dalle braccia della madre appena fulminata dall’infallibile cecchino. Il quale si chiama Chris Kyle, l’american sniper del titolo, il più formidabile tiratore scelto nella storia dell’esercito statunitense. Al suo mirino è affidata la sorte delle squadre d’assalto quando irrompono negli edifici delle città fantasma in cerca di covi di terroristi e arsenali d’armi.

Dopo il crollo delle due torri a Manhattan, i marines sono alla caccia di al-Zarqawi: “Prendete quel testa di cazzo!” E’ l’imperativo che brucia come un tizzone ardente nel petto di ogni soldato inviato sul fronte iracheno per salvare il futuro dell’Occidente. Anche Kyle (Bradley Cooper) appartiene ai Navy Seals, le forze speciali impiegate in “conflitti non convenzionali” e addestrate allo spasimo per imprese al limite del sostenibile. Il padre Jeff ha trasmesso ai figli un’incrollabile certezza: “Il mondo si compone di pecore e di lupi, poi ci sono i cani da pastore che impediscono ai lupi di far strage delle pecore; la nostra famiglia appartiene a questa categoria.” Fin dall’infanzia Chris è addestrato alla caccia, a “fermare un cuore che batte”. E’ dotato di una mira prodigiosa da qualsiasi distanza, e per tale ragione si è presentato volontario al reclutamento. E’ un ragazzone potente, di poche parole, una specie di Captain America in carne e ossa determinato a salvare il proprio Paese dall’attacco delle forze del male scatenate per distruggere la sua nazione, i suoi principi, i suoi valori. Coraggioso e leale quanto timido con le donne, si innamora in un bar di Taya (Sienna Miller) anche lei in cerca di un solido approdo. Si sposano alla vigilia della partenza per la prima missione (i turni di ingaggio saranno quattro in un arco di circa otto anni) e si salutano senza pianti e addii laceranti: “i Seals tornano sempre a casa”.

Partire non è solo un dovere ma piuttosto un bisogno fisiologico, una chiamata che non ammette rifiuti. E’ l’odore inebriante del conflitto raccontato già tremila anni fa da Omero nell’Iliade, quando l’esercito degli Achei agli ordini di Agamennone dispiega le vele per la spedizione punitiva contro Troia. E’ l’analogo sentimento che ispira “Guerra e Pace” di Tolstoi, lo scontro micidiale tra Napoleone e il generale Kutuzov messo in scena nei primi capitoli come un’avvampante coreografia di magnifiche uniformi, di spade dorate e bronzi scintillanti di cannoni, di cuori in tumulto prima che il campo di battaglia si cosparga di cadaveri; è l’epos britannico de “I seicento di Balaklava”, una strage osservata da lontano come la schermaglia di coloratissimi soldatini di piombo; è il mito de “I lancieri del Bengala” in elegante divisa blu notte e candido casco coloniale; sono tutte le guerre di tutti i tempi iniziate tra fanfare e pennacchi purpurei per concludersi in massacri disumani e inevitabili strascichi di lutti e sofferenze.

Eppure tale è la natura dell’essere umano incorreggibile nella sua follia tribale, ostaggio forse del demonio se è vero che non esiste il bene senza il male, e non c’è pace senza guerra. Che magnifica prova ci offre il vecchio Clint Eastwood per nulla timoroso di affrontare temi universali come l’amore impossibile (“I ponti di Madison County”) o l’estremo sacrificio personale per sete di giustizia (“Gran Torino”); impassibile dietro la cinepresa come era davanti all’obiettivo quando impersonava il pistolero con sigaro e poncho inventato da Sergio Leone: “Al cuore Ramon!”. Sotto la maschera di cuoio grinzoso nessuno meglio di lui appare oggi in grado di indagare nel cinema le tortuosità della vita, i suoi oscuri labirinti. E adesso che sappiamo – la somiglianza c’è tutta – che Clint era figlio naturale di Stan Laurel (Stanlio), definito da Charlie Chaplin il più grande comico mai esistito, risulta meno enigmatico quel sorriso sfuggente che affiora sul suo viso anche nei momenti di maggior tensione. Forse il ruolo di cecchino che da occhiuto regista affida a Bradley Cooper, mezzo secolo prima l’avrebbe scelto per se stesso: non aveva interpretato già ormai maturo lo sfortunato guardaspalle del presidente Kennedy? Cooper con il suo corpaccione debordante, i limpidi occhi azzurri e la faccia da bravo ragazzo, va alla guerra perché questo gli viene chiesto dal suo Paese, questo avrebbe voluto il padre da lui; e dal fratello minore, che però non possiede la sua innocenza e in guerra ha paura, come tutti. Cooper spedito in Iraq a coprire le spalle ai suoi commilitoni esposti a ogni imboscata, già dopo il primo turno di ingaggio viene ribattezzato “la leggenda” per aver salvato la vita a decine di marines destinati a morte sicura. Appostato sui tetti delle case, con il berrettino da baseball al posto dell’elmetto e l’occhio incollato al cannocchiale, il prode cecchino scova il nemico ad altri invisibile, inquadra e spara facendo inesorabilmente centro. Grazie alla precisione millimetrica ha eliminato il famigerato ‘Macellaio’, un terrorista che tortura e uccide i nemici col trapano elettrico, e non si fa scrupoli di usarlo anche sulla carne e le ossa dei bambini pur di ottenere il suo scopo. Ma c’è un altro obiettivo che continua a sfuggirgli, il più pericoloso di tutti, lo sceicco al-Obeid, un fantasma invisibile capace di centrare un bersaglio persino da un chilometro lineare. Finché un giorno il personaggio inafferrabile entra nel suo campo visivo: il telemetro segnala una distanza di poco superiore a 1900 metri, una sfida impossibile… Soprattutto con se stesso.

La guerra col suo carico di adrenalina non risparmia chi la combatte; e quando sull’ eccitante teatro di morte cala il sipario, subentra la crisi di astinenza: chi ha vissuto quotidianamente la violenza come droga, sprofonda nella depressione, si annulla, va incontro a un cupo orizzonte. L’aveva già raccontato Kathryn Bigelow con l’impavido artificiere di “The Hurt Locker”; e la sindrome descritta da Chris Kyle nel suo best seller autobiografico non è per nulla diversa. La Marina degli Stati Uniti ha attribuito ufficialmente al protagonista 160 ‘bersagli’ eliminati; un record assoluto. Eppure secondo i suoi commilitoni è verosimile aggiungerne almeno altri cento. Un eroe? Un esaltato? Una vittima? I reduci si recano a casa sua in processione a ripetere: “Quel giorno mi hai salvato la vita, la mia famiglia ti ringrazia”. Ma un ‘cane da pastore’ non può vivere in giardino, e il fato trova il suo tragico adempimento. I titoli di coda scorrono in assoluto silenzio, senza una sola nota musicale.

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