Matthias e Maxime (2019) CAN di Xavier Dolan
Due amici d’infanzia si baciano per un cortometraggio amatoriale. Dopo l’accaduto, apparentemente innocuo, si insinua un dubbio ricorrente: i due ragazzi devono affrontare le loro preferenze sessuali.
Dolan era come una supernova lanciato nell’empireo del cinema, così che la caduta inaspettata con la prima opera hollywoodian ha provocato una specie di tsunami nell’enfant prodige del cinema canadese. Il tonfo è stato così potente con La mia vita con John F. Donovan da annichilirlo quasi.
Così, lasciate da parte le stelle americane, ha preferito ripiegarsi su se stesso, sul mondo che conosce, (ri)partendo da una pellicola intimista, che recupera buona parte delle tematiche che gli sono appartenute negli esordi. E lo ha fatto con sensibilità anche se sembra ancora afasico, parzialmente ferito dal flop.
La dimensione emotiva si riversa nel personaggio di Maxime, segnato sul volto e nell’anima come il regista stesso dopo questa infelice esperienza. Pur non essendo un film abbagliante e completamente riuscito, Dolan concentra un uragano di sentimenti in una sola scena (peraltro neppure mostrata, con intelligente pudicizia), che cambia per sempre la vita dei due personaggi.
E tale passione esplode dopo un percorso a vuoto, in cui entrambi i personaggi fingono di dimenticare quanto accaduto, sia pure per gioco, ma senza mai riuscire a cancellare il furore che solo l’amore sa dare. In questi momenti Dolan è al meglio. Spesso però appare indeciso e vago e, quindi, meno riuscito rispetto ad altre opere, assai più disturbanti e urticanti, ma complete.