Il cinema di Alberto Lattuada

Figlio del compositore Felice Lattuada, Alberto crebbe tra la campagna lombarda e Milano. Durante gli studi classici al Liceo Ginnasio Giovanni Berchet, nel 1932, fondò con Alberto Mondadori il periodico quindicinale “Camminare…”, dove si occupava di critica d’arte. La sua prima esperienza cinematografica risale all’anno seguente come scenografo del cortometraggio “Cuore rivelatore”, diretto da Monicelli. Successivamente collaborò a “Il museo dell’amore” e a “La danza delle lancette”, il primo mediometraggio italiano girato interamente a colori. Dopo la laurea in Architettura, collaborò con diverse riviste, scrivendo di cinema, architettura e letteratura. Nel 1941, iniziò a dedicarsi al cinema a tempo pieno, lavorando come aiuto regista e sceneggiatore. Tra il 1942 e il 1943, diresse i suoi primi film tratti da opere letterarie: “Giacomo l’idealista” e “La freccia nel fianco”. Questi film contenevano già molti degli elementi stilistici che avrebbero caratterizzato il suo cinema futuro.

Carriera Cinematografica

“Il bandito” (1946) Nel dopoguerra, si avvicinò al neorealismo con “Il bandito”, girato in una Torino devastata dai bombardamenti. Il film esprime chiaramente la sua ammirazione per il cinema americano, in particolare per le gangster-story. “Il bandito” racconta la storia di un uomo, interpretato da Amedeo Nazzari, che torna a casa dalla guerra e si trova ad affrontare una società corrotta e indifferente. La critica apprezzò la capacità di Lattuada di coniugare elementi neorealistici con un ritmo narrativo avvincente, tipico del cinema americano. Carla Del Poggio, moglie di Lattuada, debuttò in una parte drammatica.

“Il delitto di Giovanni Episcopo” (1947) Tratto da un’opera di D’Annunzio, questo film si allontana dalle correnti neorealiste per esplorare temi più personali e introspettivi. Aldo Fabrizi offre una performance intensa, dando vita a un personaggio complesso e tormentato. La critica ha lodato la maestria di Lattuada nella direzione degli attori e la sua capacità di creare un’atmosfera cupa e opprimente che riflette le angosce interiori del protagonista.

“Senza pietà” (1948) Realizzato insieme a Tullio Pinelli e Federico Fellini, è ambientato nella Pineta del Tombolo e descrive un paese in rovina dove gli aiuti americani portano violenza, contrabbando e malavita. La critica ha elogiato il film per la sua rappresentazione realistica e senza compromessi della società post-bellica, nonché per la sua capacità di trattare temi scottanti con sensibilità e profondità.

“Il mulino del Po” (1949) Tratto dal romanzo omonimo di Riccardo Bacchelli, è considerato una delle opere più importanti di Lattuada. Il film è stato apprezzato per la sua fedeltà al romanzo e per la sua capacità di catturare l’essenza della vita rurale italiana. Bacchelli stesso ha collaborato alla sceneggiatura, contribuendo a creare un’opera che combina realismo e poesia.

“Anna” (1951) Con “Anna”, Lattuada ottenne un enorme successo commerciale grazie a protagonisti come Silvana Mangano, Raf Vallone e Vittorio Gassman, e alla canzone “El Negro Zumbón”. Il film racconta la storia di una suora che rinuncia ai voti per amore, esplorando temi di amore e redenzione. “Anna” fu la prima pellicola italiana a incassare oltre un miliardo di lire nelle prime visioni e la prima ad essere presentata doppiata in inglese negli Stati Uniti. La critica ha elogiato il film per la sua capacità di trattare temi complessi con delicatezza e sensibilità, nonché per le eccezionali performance degli attori.

“Il cappotto” (1952) Tratto dal racconto di Gogol’, è uno dei primi film italiani a svincolarsi definitivamente dal neorealismo. La storia di un umile impiegato che risparmia per comprarsi un nuovo cappotto, solo per perderlo, è stata interpretata magistralmente da Renato Rascel. La critica ha apprezzato il film per la capacità di fondere realtà e fantasia, creando un’opera che è allo stesso tempo tragica e comica. “Il cappotto” è stato lodato per la sua profondità psicologica e per la sua capacità di trattare temi universali come la povertà e la dignità umana.

“La lupa” (1953) Tratto dal racconto di Giovanni Verga, continua il viaggio di Lattuada nell’osservazione del corpo e della sessualità femminile. La forza della figura femminile in questo film rende esplicito l’aspetto della sottomissione dell’uomo. La critica ha elogiato il film per la sua audacia nel trattare temi tabù e per la potenza delle performance attoriali.

“La spiaggia” (1954) Considerato un antesignano della commedia di costume, è una critica feroce dell’ipocrisia borghese. Il film esplora le dinamiche sociali di una località balneare, mettendo in luce i comportamenti contraddittori e spesso ridicoli dei suoi abitanti. La critica ha lodato il film per la sua incisività e per la capacità di Lattuada di combinare satira e realismo.

“Guendalina” (1957) e “Dolci inganni” (1960) Questi due film seguono la trasformazione sentimentale e sessuale di due adolescenti, interpretate rispettivamente da Jacqueline Sassard e Catherine Spaak. La critica ha elogiato Lattuada per la sua sensibilità nel trattare il tema della crescita e della scoperta di sé, e per la sua capacità di catturare le sfumature delle emozioni adolescenziali.

“La tempesta” (1958) e “La steppa” (1962) Tratti dai prediletti autori russi, Puškin e Čechov, questi kolossal dimostrano la versatilità di Lattuada e la sua capacità di trasporre grandi opere letterarie sullo schermo. La critica ha apprezzato la fedeltà delle trasposizioni e la maestria tecnica del regista.

“Lettere di una novizia” (1960), “La mandragola” (1965), e “Don Giovanni in Sicilia” (1967) Negli anni ’60, si dedicò a trasposizioni di opere letterarie italiane. “Lettere di una novizia” di Guido Piovene, “La mandragola” di Machiavelli e “Don Giovanni in Sicilia” di Vitaliano Brancati furono tutti accolti positivamente dalla critica per la loro fedeltà ai testi originali e per la capacità del regista di catturare lo spirito delle opere.

“Venga a prendere il caffè… da noi” (1970) Tratto dal romanzo “La spartizione” di Piero Chiara, questo film vinse il Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura. La critica ha elogiato il film per la sua satira della borghesia provinciale ipocrita e sessuofobica, e per la brillante performance di Ugo Tognazzi.

Negli anni ’80, Lattuada si dedicò alla televisione, dirigendo il colossal “Cristoforo Colombo” (1985), la miniserie “Due fratelli” (1988) e il mediometraggio “Mano rubata” (1989). Questi lavori dimostrano la sua capacità di adattarsi a diversi formati e di mantenere alta la qualità del suo lavoro.  Alberto Lattuada morì il 3 luglio 2005 a Orvieto, affetto da tempo dalla malattia di Alzheimer. L’archivio, donato da Carla Del Poggio alla Fondazione Cineteca di Bologna nel 2009, comprende una vasta documentazione della sua carriera e di quella della moglie. Questo materiale è stato dichiarato di interesse storico particolarmente importante e continua a essere una risorsa preziosa per studiosi e appassionati di cinema.

 

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