Critica d’autore: Antonioni raccontato da Nevio Casadio

di Gianfranco Angelucci

“Critica d’autore” si potrebbe chiamare il cinegiornalismo di Nevio Casadio che dopo la rievocazione di Tonino Guerra “L’Ulisse di campagna” e il “Viva Fellini” uscito prima di Natale, ha presentato martedì scorso un terzo capitolo cinematografico dedicato a Michelangelo Antonioni su RAI Storia, il canale tematico fiore all’occhiello del servizio pubblico televisivo.

Per una forma di empatia o di mimetismo poetico, l’autore ravennate sembra assumere spontaneamente lo stile del personaggio di cui si occupa; e questa volta l’impaginazione visiva del racconto riecheggia i nitidi scacchieri di Mondrian, linee terse che si incrociano ad angolo retto, geometrie rigorose capaci di rinviare infallibilmente alle celebri inquadrature di Antonioni. L’opera del Maestro tuttavia viene citata soltanto per allusioni, non si assiste a sequenze dei suoi film, come ci si aspetterebbe nel ritratto di un cineasta che è stato tra i più grandi del Novecento. Inventore di uno ‘sguardo’ che ancora esercita la sua immancabile influenza, Antonioni è molto amato nelle scuole di cinema dove gli allievi sono attratti d’istinto dal suo linguaggio ‘sperimentale’. L’avventura, L’eclisse, Deserto Rosso, Blow up, Professione Reporter sono film scrutati con passione, persino con sottile feticismo, perché imprigionano dentro ciascun fotogramma quel senso di malessere, di disorientamento, di afasia, a cui la società postindustriale ha dato nome di alienazione, di incomunicabilità.

Concetti e stati d’animo di immediata condivisione non solo in quell’età di transito, tra l’adolescenza e la giovinezza, in cui si sta male senza decifrarne a pieno le ragioni; ma anche in una stagione come quella che attraversiamo sopraffatta da una progressiva perdita di significato. I silenzi, le dilatazioni del tempo, i gesti vuoti, l’imprecisione dei sentimenti, uno spazio personale arduo da riempire, rappresentano la condizione che ci appartiene più da vicino e sulla quale non riusciamo a esercitare un sufficiente dominio. Inquietudini che Antonioni ha saputo consegnarci con molto anticipo sui tempi, profeticamente e pittoricamente. La mancanza di inserti nel programma di Casadio può avere ragioni banalmente pratiche, da ricondurre al costo delle clip troppo esoso per i bassi budget in cui la RAI relega da anni la cultura. Oppure può rispondere a una scelta a monte, in fase di ideazione: obbligare lo spettatore a immergersi con la memoria nell’universo poetico e figurativo del Maestro che appartiene ormai alle stesse molecole dell’aria. Il risultato finale possiede in ogni caso, si passi l’ossimoro, una sua rarefazione densa; ogni movimento di macchina diventa allusivo, e come capita di frequente nei fenomeni espressivi, sono sufficienti fugaci dettagli a fornirci la chiave: l’inquadratura di una ‘combustione’ di Burri, il sapiente accenno ai cromatismi di Rothko.

Gli intervistati parlano e le loro parole tessono al telaio fili invisibili, compongono gradualmente un ordito in grado di restituire fedelmente i connotati dell’artista; anzi li ricrea, li spiega, li racconta, li rende familiari. Un’efficace ermeneutica. Non a caso Casadio nasce alla scuola di Sergio Zavoli, ha esercitato il controllo del testo nelle inchieste di Minoli, si è formato nel giornalismo alto e a quello resta fedele lavorando in silenzio e quasi nella penombra, cercando di far parlare le immagini, di tradurre in emozioni il suo approccio al personaggio. “Antonioni point”, prodotto da “La dama sognatrice”, raduna in 54’ un buon numero di collaboratori, secondo una cifra cara all’autore: storici del cinema, giornalisti, scrittori. Tonino Guerra, sceneggiatore storico del regista ferrarese, gorgheggia un canto ironico, evocativo; Carlo Di Carlo funge da gran cerimoniere; Roberto Pazzi infioretta assonanze estensi. Non mancano reperti in bianco e nero, spezzoni di pellicola graffiata da cui affiora il bel volto di Monica Vitti, la musa; e lo stesso Michelangelo appare talvolta alla macchina da presa mentre risistema i dettagli dell’inquadratura, o si aggira leggero nei suoi scenari prediletti.

Rivediamo i paesaggi che solo lui ha saputo fotografare, le nebbie, le fabbriche, le ciminiere, le strade umide, quell’occhio inconfondibile che non è venuto mai meno; neppure dopo l’insulto dell’ictus cerebrale quando alle sue spalle, sul set, lo vegliava da angelo custode l’amico Wim Wenders che di angeli se ne intende, specialmente sopra Berlino. Casadio allestisce mense mistiche per palati assuefatti da sempre al buon gusto, e per nulla rassegnati a rinunciarvi.

Potrebbe piacerti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Email