Indiana Jones e il quadrante del destino

Il nostro parere

Indiana Jones e il quadrante del destino (2023) USA di James Mangold


Il temerario archeologo Indiana Jones lotta contro il tempo per recuperare un quadrante leggendario che può cambiare il corso della storia. Accompagnato dalla sua figlioccia, si scontra con Jürgen Voller, un ex nazista che lavora per la Nasa.


Ci vuole solo il prologo della seconda guerra mondiale – set di “Indiana Jones e il Quadrante del destino” per vedere che James Mangold non è Steven Spielberg. Fortunatamente, anche se Mangold non ha il genio di Spielberg, migliora da lì quando salta in avanti a New York del 1969 e ci mostra un Indy invecchiato e arrabbiato con la vita che lo ha deluso. L’eroe senza macchia e ricco di ironia è solo un vecchio stanco che vive di rimpianti, in modo particolare il figlio che scopriamo essere morto in guerra distruggendo pure il suo matrimonio.

L’oggetto della ricerca stavolta è la metà mancante di un manufatto che si dice abbia il potere di viaggiare nel tempo. Si tratta chiaramente di un pretesto per l’azione che seguirà in tutto il film. Se, però, questa azione è interessante in alcuni momenti (Indy che scappa a cavallo durante la parata che festeggia lo sbarco sulla luna), in altri scade in un eccesso ingiustificato (vedasi il finale decisamente fuori registro).

Mangold gioca con i fan (John Rhys-Davies torna nei panni di Sallah per guidare Indy all’aeroporto), per chiudere il cerchio della vita di Indiana, sistemando amori e vita, lavoro e amicizie, dando un senso e un’umanità al personaggio che nei precedenti film era un po’ offuscata.

Come “Indiana Jones e il teschio di cristallo” del 2008,  questo film sembra più un’operazione nostalgia che altro.

 

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