Foglie al vento

Il nostro parere

Foglie al vento (2023) FIN di Aki Kaurismaki


Nella notte di Helsinki si incontrano due solitudini, quella di un operaio meccanico e di una cassiera di supermercato. Entrambi hanno il desiderio di conoscersi meglio ma un numero di telefono scritto su un foglietto viene perduto e quindi l’incontro viene rinviato mentre la loro situazione sul versante sociale non sta affatto migliorando. Soprattutto per lui che non riesce a smettere di bere alcolici.


Sono passati più di tre decenni dalla cosiddetta trilogia del proletariato di Aki Kaurismaki ma non è cambiato molto nel mondo che lui rappresenta. In Foglie al vento, Premio speciale della giuria a Cannes 2023, quarta puntata della serie, il mondo presenta solo tonalità di grigio, ravvivate da occasionali spruzzi di colore vivido: il blazer rosso brillante di una donna, un cassonetto di blu profondo. Uomini e donne solitari continuano a faticare in lavori precari della classe operaia. Il loro unico svago è vagare nei bar dove bevono e fumano e parlano tra loro in frasi comicamente surreali. Parlano poco, poiché la maggior parte delle volte preferiscono guardare avanti a sè, lasciando che le loro sigarette si consumino mentre il rock’n’roll suona sul jukebox o qualcuno esegue una canzone di karaoke del tutto improbabile, come la “Serenata” di Schubert.

Anche le radio sono modelli vintage (la televisione è praticamente assente) anche se non c’è dubbio che si sia il giorno d’oggi, perché tutto ciò che sembrano trasmettere è la notizia degli attacchi aerei russi sull’Ucraina. Se questa è l’unica cosa nuova, forse la caratteristica nostalgia di Kaurismàki non è infondata. In ogni caso, ha anche i suoi vantaggi narrativi: quando Ansa (Alma Pàysti) dà a Holappa (Jussi Vatanen) il suo numero di telefono, se lo avesse digitato nel suo cellulare invece di scriverlo su un pezzo di carta, il vento non avrebbe potuto spazzarlo via. E poi il film non avrebbe potuto indulgere in un’affascinante sequenza di romanticismo, mostrando Holappa tornare sera dopo sera al cinema dove hanno guardato I morti non muoiono (2019) – omaggio all’amico e al collega Jim Jarmusch.

Nella hall del cinema è appeso un grande poster di L’Argent di Robert Bresson (1983), qualcuno esclama: “Mi ricorda Diario di un prete di campagna (1951)!” Nonostante il confronto assurdo, Kaurismaki svela il suo amore per alcuni autori, in particolare Bresson di cui è un discepolo dichiarato. Quando Holappa incontra per la prima volta Ansa, che ha appena perso due lavori in altrettanti giorni, ogni suo piccolo atto di gentilezza, sia che si tratti di comprarle un rotolo di cannella o di invitarla a vedere un film, è profondamente commovente. Il suo bacio sulla sua guancia prima di separarsi come un’affermazione trionfale di speranza.

Come in tutti i film sul proletariato di Kaurismaki, l’amore rappresenta l’unica possibilità dei personaggi di trascendere – o almeno sopravvivere – alla realtà alienante del capitalismo. Ansa e Holappa riconoscono la loro salvezza nell’altro e sebbene la loro relazione sia subito dolce e amorevole, è messa in dubbio dall’alcolismo di Holappa. “Bevo troppo perché sono depresso e sono depresso perché bevo troppo”, dice a un amico.

Alla Berlinale nel 2017, Kaurismki ha affermato che sarebbe stato il suo ultimo film. Altri registi come lui hanno poi cambiato idea, ma fa piacere ritrovare la sua poesia, la narrazione essenziale in un film che è poi un atto d’amore verso l’arte cinematografica. Dove vanno la prima sera i due innamorati? Al cinema e fuori dallo stesso cinema, Holappa aspetta e ritrova il suo amore e come in Luci della città i due si allontanano di spalle mentre camminano verso il loro futuro, pieno d’incertezza ma ricco di amore. E l’amore riempie la vita.

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