El conde

Il nostro parere

El  Conde (2023) CHI di Pablo Larrain


Il dittatore cileno Augusto Pinochet è un vampiro di duecentocinquanta anni. Ormai stanco della sua vita, vuole finalmente morire dopo il disonore e le crisi familiari che ha causato.


Presentato all’80a edizione della Biennale di Venezia, Il Conte suscita la più profonda avversione nei confronti dello spregevole dittatore cileno Augusto Pinochet. O dovremmo chiamarlo “Claude Pinoche”, come lo presenta il regista Pablo Larraín all’inizio di questa brutale satira. A volte molto spiacevole, persino un po’ cruento, e altre volte intelligente e brillante; cinico e pungente.

Mostrare Pinochet nei panni di un vecchio vampiro, di 250 anni, sempre avido di sangue umano fresco, è un modo efficace per denunciare tutti gli abusi e i crimini impuniti da lui commessi. Ciò non sorprende, dal momento che Larraín è un convinto detrattore del governo che ha eliminato cultura e libertà dal suo Paese per quasi trent’anni. Questo, nonostante il ruolo giocato dal padre durante il regime.

In questa peculiare trama non poteva mancare un altro personaggio essenziale: una suora incaricata di esorcizzare il vampiro, suor Carmen (Paula Luchsinger). In quello spirito di obbedienza a una “missione celeste”, elencherà tutti i crimini, le rapine e le estorsioni di Pinochet. Semplicemente magistrale.

In El Conde, la figura di un vampiro, Pinochet, che sorvola la città, vestito con la sua uniforme militare in cerca di vittime, con sangue giovane e fresco, non ama gli anziani e i lavoratori, emula il terrore avvenuto in Cile.

La sua dimora putrida, cupa e rancida non smette mai di disgustare, così come tutto ciò che ci ricorda un essere crudele e sanguinario come lui. E non solo ha instaurato un periodo di terrore, dolore e ingiustizia in Cile, ma ha anche rubato con assoluta ragione e impudenza. Il Conte, come amava farsi chiamare, si sente tradito e incompreso dal suo “popolo ingrato”. Il suo desiderio di continuare a vivere dopo tanto tempo sta svanendo, a poco a poco. Per morire smetterà di bere sangue e tremerà per i cuori ancora battenti.

Le riprese, interamente in bianco e nero, insieme alle musiche di Juan Pablo Ávalo e Marisol García, accrescono quel cupo sentimento di repulsione nello spettatore. Forse è quello che Larraín vuole che i suoi compatrioti sentano vedendolo, dato che è anche un’allegoria politica, ideale per un dibattito.

Questo film sinistro riesce a coniugare in modo magnifico la commedia nera con la denuncia politica; l’orrore di un tempo vissuto e il suo inevitabile riflesso su di esso. Il Conte non lascia indifferente chi lo vede e si immerge in quel sordido e terribile passato del Cile. Per non parlare del colpo di scena finale che tira in ballo chi sostenne nel mondo quel regime sanguinario.

Disomogeneo e discontinuo resta comunque un esempio di stile e visionarietà.

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