Cafè society (2016) USA di Woody Allen
Il quarantasettesimo film di Woody Allen nonchè il primo ad essere girato in digitale con la direzione della fotografia affidata a Vittorio Storaro. Bobby (Jesse Eisenberg), giovane d’origine ebrea nel 1930 si trasferisce da New York a Los Angeles, dallo zio produttore di Hollywood (Steve Carell). Lì si innamora di Vonnie (Kristen Stewart) senza sapere che è l’amante dello zio. Al momento della scelta Vonnie sceglie lo zio. Così a Bobby non resta che tornare a New York, dove si mette a gestire il locale del fratello Ben, trova moglie e diventa padre. Tempo dopo però incontra di nuovo Vonnie: sembra che nulla sia cambiato e che nessuno abbia mai dimenticato l’altro.
L’ambientazione anni ’30 ricorre molto spesso nei film di Allen (Radio Days, La rosa purpurea del Cairo, Accordi e disaccordi, La maledizione dello scorpione di giada, Magic in the Moonlight), forse perchè in quell’epoca vivevano i miti di Hollywood che hanno affascinato e reso dorata l’infanzia del giovane Allen. Non a caso le citazioni si sprecano (da Howard Hawks a Leo McCarey e Billy Wilder, da Irene Dunne, Errol Flynn e Joel McCrea, fino a Joan Crawford, Barbara Stanwyck e Greta Garbo).
La fine di quell’era è coincisa con la guerra, con la fine di ogni spensieratezza e illusione e questo spirito malinconico si respira lungo tutto il film, un sospiro per quei ricordi che si stanno ingiallendo nelle foto, sbiadendo nei ricordi. Non ci sono però battute da segnarsi sul quaderno (un paio gli sono scappate), rarissimi momenti comici e molti rimpianti per quello che poteva essere e non è stato. L’accuratissima ricostruzione, accompagnata da musiche d’epoca recuperate dalla memoria del regista, fa di Cafè society un piccolo gioiello stilistico cui fa difetto la parte contenutistica. La trama si sfilaccia rapidamente, diventa episodica e poco strutturata. Le vicende diventano così leggiadre da apparire impalpabili, la narrazione scade nell’ordinario.