Addio a Zeffirelli

Franco Zeffirelli è il nome d’arte di Gianfranco Corsi, nato a Firenze il 12 febbraio 1923. Dotato di un forte senso dello spettacolo e di un gusto figurativo prezioso ma non esente da esuberanze manieristiche, ha riversato nelle sue abili orchestrazioni cinematografiche (quasi tutte coproduzioni internazionali) teatralità, accenti melodrammatici, musicalità e sontuosità. Ha ottenuto nel 1969 un Nastro d’argento e una nomination agli Oscar per la regia di Romeo e Giulietta (1968), quindi una nomination (insieme a Gianni Quaranta) per la scenografia del suo La traviata (1983), e nel 2002 un David di Donatello speciale alla carriera.

Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, studiò anche alla facoltà di Architettura. Dedicatosi al teatro, nel 1945 fu attore e scenografo nella compagnia Carro dell’Orsa minore, e nel 1946-47 attore e assistente alla regia in quella di Luchino Visconti. Per quest’ultimo firmò poi tre memorabili scenografie: quelle di Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams (1949), Troilo e Cressida di Shakespeare (1949) e Tre sorelle di Čechov (1952). Alla scuola viscontiana affinò il senso del ritmo e della costruzione drammatica e il tratto figurativo scrupoloso e raffinato, messi a frutto anche nella sua carriera di regista teatrale, drammatico (dal 1950) e lirico (dal 1953).

Nel cinema, dopo un’esperienza come attore in L’onorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa, lavorò come assistente alla regia per Visconti (La terra trema, 1948; Bellissima, 1951; Senso, 1954) e per Antonio Pietrangeli (Il sole negli occhi, 1953; Lo scapolo, 1955). Come regista, dopo Camping (1958), dai toni di uno scanzonato neorealismo rosa, e il filmopera di produzione svizzera La Bohème (1965), il vero avvio della sua carriera avvenne nel segno di Shakespeare: in La bisbetica domata (1967) si avvalse della trascinante e formidabile performance di Richard Burton e di Elizabeth Taylor, mentre in Romeo e Giulietta impresse un notevole vitalismo alla messinscena, grazie a un cast di giovanissimi attori inglesi, alla suggestione delle musiche di Nino Rota, alla luce incantata di Pasqualino De Santis, all’inventiva dei costumi di Danilo Donati (che, come De Santis, fu premiato con l’Oscar) e soprattutto alla capacità di evocare con ambientazioni dal vero il sapore denso di una Italia rinascimentale usata come immenso palcoscenico.

Un’ispirazione religiosa sinceramente universalistica, anche se un po’ oleografica, ha trovato espressione in Fratello Sole, sorella Luna (1972)

e nel film per la televisione (ma diffuso, in due parti, anche nelle sale) Gesù di Nazareth (1977), sul quale ha scritto in quello stesso anno Il mio Gesù.

Forte di una consumata perizia del ritmo spettacolare, acquisita nei suoi numerosi allestimenti teatrali in Italia e all’estero, ha confermato la sua vocazione di grande orchestratore di atmosfere drammaturgiche shakespeariane con Hamlet (1990; Amleto),

forse il suo film di maggior spessore, immerso in una atmosfera gotica e percorso da inquietudini psicoanalitiche. L’altro amore di Zeffirelli, quello per le retoriche del melodramma, si è espresso con eccessiva indulgenza verso i toni lacrimevoli nelle produzioni americane The champ (1979; The champ ‒ Il campione), remake dell’omonimo film di King Vidor (1931)

e Endless love (1981; Amore senza fine); con pleonasmi illustrativi in Storia di una capinera (1993), da Verga, e Jane Eyre (1995), da Charlotte Brönte; con una confezione patinata e accuratamente pittorica nei filmopera La traviata e Otello (1986); attraverso una chiave biografica fortemente romanzesca in Il giovane Toscanini (1988) e Callas forever (2002).

Un tè con Mussolini (1999) lascia invece trapelare allusioni autobiografiche attraverso il racconto di una inconsueta educazione sentimentale sullo sfondo della comunità inglese di Firenze sotto il fascismo.

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