Ready player one – Virtualità

Il nostro parere

Ready player one (2018) USA di Steven Spielberg

Nel 2045 il mondo è sull’orlo del collasso. OASIS, un universo virtuale creato da James Halliday, è l’unica salvezza per l’umanità. Alla sua morte, l’uomo lascia tutto in eredità alla persona in grado di vincere una caccia al tesoro.

Come in Super8, che ha prodotto, gli anni Ottanta sono protagonisti di Oasis, il videogioco al centro di Ready Player One perchè nel cinema di Spielberg la memoria dell’infanzia è l’unità di misura della nostalgia. L’inventore di Oasis, la realtà virtuale che domina il mondo nel 2045, affonda proprio in quegli anni il fondamento e ogni idea.

Il videogioco concepito come universo parallelo alla realtà si sostituisce alla realtà, la occupa con l’afflato tipico dell’avventura cinematografica, immerso nell’atmosfera onirica della proiezione. Questo stupore non impedisce però al regista di immaginare un mondo di ingiustizia, di sperequazioni sociali in cui l’idiocrazia vince. La fantasia di Wade è la sua salvezza, gli impedisce di essere un “addicted” del videogioco pur essendone anche lui prigioniero.Il videogioco è lo stadio ultimo del sogno spielberghiano di archiviare il passato e utilizzarlo per modellare un’identità individuale.

Gli spunti del libro servono a Spielberg per riempire il film di citazioni sociali, culturali e cinematografiche. Il rifacimento di Shining è l’ennesimo omaggio alla figura che più ha influenzato il suo cinema (Kubrick) ed è una sorprendente ricostruzione, straordinaria dal punto di vista filologico, impeccabile dal punto di vista estetico. Sono atti d’amore che commuovono, lavorando sull’immaginario collettivo di chi con questi film ci è cresciuto.

In questo mare citazionista si annacqua la sostanza dell’opera che non esce dalla superficie del bellissimo gioco: divertente e rutilante, ma sempre gioco. E il ritorno alla realtà non suscita un forte rimpianto.

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