Missing – Il tradimento di una nazione

Il nostro parere

Missing (1982) USA di Costa-Gavras

Nel 1973, l’uomo d’affari americano Ed Horman si reca in Cile per rintracciare il figlio Charles, un giornalista di sinistra arrestato dai soldati dell’esercito di Pinochet e sparito nel nulla.

Potentissimo atto d’accusa contro il governo americano che ha consentito e assistito l’ascesa al potere sanguinosa di Pinochet. Attraverso la narrazione di una storia realmente accaduta, Costa-Gavras continua nella sua riflessione contro i meccanismi del potere e le sue patologiche deviazioni.

Dopo aver raccontato la mostruosità del sistema comunista e sovietico, la delittuosità del regime fascista greco (sua patria natale dove è ritornato a girare solo nel 2019), il regista si approccia agli Stati Uniti dove ha poi vissuto per molti anni, dirigendo altri film sulle deviazioni della società americana e non solo.

Era il momento il cui l’autore greco era al suo culmine, con opere sempre equilibrate, raramente retoriche, capaci di sconvolgere per la durezza dei temi e degli assunti. Nel 1982, in pieno edonismo reaganiano, attacca frontalmente le collusioni di Kissinger e della Cia nel massacro compiuto da Pinochet quando ha preso il potere. La sua riflessione si estende ovviamente a tutto il Sud America dove dittatori di destra avevano negli stessi anni preso il potere con l’esplicito sostegno americano.

L’amara riflessione di Ed Horman non può che applicarsi, replicata quanto si vuole, a tutti i regimi militari sorti in quegli anni. Più che la spaventosa carneficina, accennata con grande efficacia ma volutamente celata, a Costa-Gavras interessa mostrare l’indifferenza del potere verso la vita umana. Nel colloquio finale con gli addetti americani dell’ambasciata le migliaia di morti vengono derubricate a semplice casualità, necessarie per garantire il benessere degli americani.

Lo stesso generale dice, non senza ragione, ad Horman che se la vicenda non avesse riguardato lui, non si sarebbe minimamente preoccupato di quanto stava accadendo in Cile, anzi sarebbe stato compiaciuto dello stop imposto alla diffusione del comunismo.

Horman è ammutolito dalla violenza del potere e di come esso dispone delle nostre vite senza pietà e umanità. Il singolo è impotente di fronte al potere (lo ripropone pari pari in Amen sul genocidio ebraico) e viene inevitabilmente sconfitto, schiacciato. E’ necessaria una reazione del popolo ma la maggiore probabilità è una sconfitta, come tristemente accennato dalla voce fuori campo del finale.

Grandissima l’interpretazione di Jack Lemmon che assume su di sè il dolore e lo smarrimento di un popolo che si scopre usato, umiliato e deriso da un sistema autoconservativo. Da ricordare anche la colonna sonora di Vangelis, ancora famosa oggi nel suo tema centrale.

C’è però un finale che attenua leggermente l’amarezza e che il regista non poteva conoscere allora. Nel 2019 un tribunale ha condannato gli assassini di Horman: gli esecutori materiali, certo, perchè i responsabili politici sono usciti intonsi da questa torbida vicenda. Ma anche la storia ha decretato la sconfitta di questi omicidi in guanti bianchi. Pinochet è stato rimosso dal Cile che ora è una democrazia. Una tardiva consolazione o una flebile speranza? Difficile dirlo. Tuttavia, resta un grande film.

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