Ferrari

Il nostro parere

Ferrari (2023) USA di Michael Mann


Una biografia del magnate dell’automobile Enzo Ferrari, la cui famiglia ha ridefinito l’idea di auto sportiva italiana ad alte prestazioni e ha dato vita il concetto di Formula Uno. Tutto viene concentrato nel 1958 quando la scuderia sembra sul punto di fallire, in mezzo ad incertezze ed a incidenti mortali.


Michael Mann è tornato. Questa affermazione dovrebbe concludersi con un punto esclamativo perché parliamo di uno dei registi più importanti a cavallo del duemila, lontano dal panorama cinematografico da diverso tempo, dopo lo sfortunato Blackhat del 2015.

La struttura del biopic è solo un occasionale sfondo per un’opera che ha altri temi, ma che si concentra sulla vita di Enzo Ferrari nel corso di alcuni mesi, segnati da due incidenti mortali che mettono a rischio la credibilità della scuderia e dell’uomo, impegnato su più piani poiché vi sono anche importanti problemi economici e una vita personale contrastata e difficile.

Mann costruisce la trama attraverso un grande lavoro multi-narrativo, da un lato, mostrandoci una coppia rotta (dopo la morte del figlio per sclerosi) dove il rimorso ed il rancore dominano; dall’altro l’amante, Lina Lardi, che ama con amore profondo e che gli ridà l’illusione della famiglia, della pace.

Ma la famiglia viene dopo la scuderia, la gara, la vittoria. Sociologicamente, infatti, Michael Mann viaggia su due binari paralleli che si inseguono e contrastano la vita del Drake: da una parte il volto pubblico, dall’altro il privato con dolori che vengono introiettati, nascosti per sfuggire l’infelicità. E ancora la ricerca del pericolo, il desiderio di fama.

Ci viene data una visione romantica, per quanto letale, del mondo di allora con un richiamo a valori che forse non sono mai esistiti e questa appare come una visione un po’ retro dell’Italia, un punto di debolezza che era molto più estremo nel film sul delitto Gucci di Ridley Scott. Ma più di ogni altra cosa, Ferrari è un film di attori, grazie a primi piani avvolgenti che occupano spesso l’intero schermo. Tutti gli attori coinvolti, soprattutto Adam Driver, appaiono assorbiti dal personaggio: comportamento, gesti, espressioni del volto, intonazione, atteggiamento.

Probabilmente è grazie al sapiente montaggio di Pietro Scalia che il personaggio dispiega i suoi momenti più forti: tagliare i momenti inutili, insistere sugli altri, fare abili transizioni che non minano la continuità della narrazione.

Il suono fa parte di questo film rumoroso che frantuma tutto ciò che incontra sul suo cammino cioè un incidente in una strada di campagna abitata. Le sequenze più belle del film sono proprio le riprese delle gare grazie alla lente del fotografo Erik Messerschmidt (autore, tra gli altri, del bellissimo e incompreso Mank) che gioca la carta del rapporto 2,39:1.

La traccia travolta della vita, quella esistenziale, quella personale e quella collettiva, tutto questo si è integrato nello stesso film c che, nonostante i difetti narrativi, riesce ancora a suscitare emozioni.

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