Europa 51

Il nostro parere

Europa 51 (1952) ITA di Roberto Rossellni


Capolavoro di Roberto Rossellini. Colpita dal suicidio del figlio, una donna dell’alta società cerca di sfuggire al suo dolore dedicandosi ai poveri. La sua scelta non verrà compresa, anzi scambiata per pazzia.


Europa 51 è il secondo dei tre film che Rossellini ha girato con Ingrid Bergman ed è spesso il meno apprezzato di questa trilogia. Dopo Stromboli e lo scandalo della loro unione che mise l’attrice al bando del perbenismo hollywoodiano, questo film tratta proprio di un personaggio femminile, di estrazione estremamente agiata, che si ritrova trattato come un paria, emarginato, per motivi simili a quelli usati contro di lei in America. Quello che poteva essere solo un caso di studio (la trasformazione, dopo il suicidio del figlio, di una madre oziosa dell’alta società in passionaria per gli aiuti umanitari) assume qui ramificazioni davvero bibliche: Irene diventa santa, riconosciuta come tale dalle persone a cui si dedica, e si sottopone al trattamento che secondo Rossellini verrebbe inflitto a Cristo se avesse la cattiva idea di venire a dare uno sguardo alla vita moderna.

Ciò che colpisce è l’antiformalismo con cui lo fa, una radicale assenza di magniloquenza, il rifiuto di ogni stile enfatico. L’intransigenza morale del film diventa ancora più destabilizzante, angosciante, da guardare così seccamente, come se gli eccessi del personaggio, e della sua passione, proibissero qualsiasi eccesso sul lato della forma. Irene, una frivola persona mondana, trascura il figlio che si lancia durante una cena organizzata in sua assenza dalla tromba delle scale. Il senso di colpa è insopportabile e la spinge a un’escalation di atti altruistici che nella fase finale rasentano l’autodistruzione. Abbandonata da un marito preoccupato solo della cattiva immagine che questa vicenda produrrà, Irene diviene incapace di sopportare ogni sofferenza umana ed è per questo che non può che trovare posto in il manicomio, pur non essendo pazza.

Il suo cammino spirituale diventa via crucis, che la rende non solo santa, ma anche martire. Irene va anche oltre il cristianesimo, come religione consolidata, in quanto non intende lodare il cammino di Cristo, esserne grata, ma incarnare questo ideale di perfezione nella propria vita.

Il regista sfida tutti luoghi comuni dell’epoca sfidando il pubblico che reagirà male: i capitalisti per cui la solidarietà sociale è un tabù, i comunisti che vedono messo in discussione il mito dei lavoratori liberati dalla spoliazione del loro lavoro, i cattolici che vorrebbero che la perfezione di Cristo ricordasse agli uomini la propria mediocrità. L’accoglienza così tiepida di Europa 51 non è dovuta al caso, è logico per un film che sembra (anche se non lo era consapevolmente, anzi) volersi alienare tutte le ideologie e tutte le credenze.

Ciò che è più sovversivo nel film (e che lo allontana dalla narrativa di sinistra) non è infatti la prima parte, dove si fa beffa dell’egoismo, dell’assenza di pensiero e della durezza di cuore dei ricchi, ma è la seconda in cui Irene scopre la crudeltà del destino riservato ai più umili, la condizione del popolo. Rossellini sfida la teoria marxista. Finché ci sarà abbastanza per cui lavorare duro, i domani luminosi difficilmente saranno all’ordine del giorno in questo mondo.

Europa 51, film opaco e duro, cerca un limite dell’umana comprensione (dove poi è la fede a entrare in gioco), ma così facendo tocca una paura lontana dalla grazia della conversione. In uno scambio davvero spaventoso, Irene racconta al suo psichiatra di aver agito non per amore (che significa umanità) ma per odio: verso se stessa, verso la sua identità soggettiva, verso la persona limitata che è condannata ad essere. Nel clima del dopoguerra, Rossellini sperimenta cosa sia l’aspirazione fanatica a porre fine alla propria umanità, i limiti della propria condizione. Il risultato è un film duro e gloriosamente non amabile.

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