10 registi morti nel 2017

10) Fernando Birri (1925) Tra le figure più significative del cinema argentino, ha contribuito al rinnovamento del cinema sudamericano con il suo impegno per la formazione di nuovi autori. Nel 1950 si trasferì a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1958 fondò l’Instituto de Cinematografía de la Universidad Nacional del Litoral. Il suo primo film a soggetto, Los inundados (1961), è stato premiato come miglior opera prima a Venezia 62. Dopo La pampa gringa del 1963, film tra fiaba e documentario, il golpe militare lo costrinse a lasciare l’Argentina per l’Italia dove collaborò con Giannarelli per Sierra maestra (1970) e Non ho tempo (1973). Diresse poi Org (1979), film basato su associazioni oniriche tra suoni e immagini. Infine, si concentrò sul documentario, con Rafael Alberti, un retrato del poeta por Fernando Birri (1983), Remitente Nicaragua: carta al mundo (1984), e Mi hijo el Che. Un retrato de familia de Don Ernesto Guevara (1985). Nel 1986 ha fondato, con Gabriel García Márquez, la Escuela Internacional de Cine y Televisión, a Cuba.

9) Ulli Lommel (n. 1944) Inizia la sua carriera come attore nel 1960 in La cugina Fanny di Russ Meyer. Nel 1969 ottiene un ruolo ne L’amore è più freddo della morte di Fassbinder. Il sodalizio artistico con Fassbinder si ripeterà in 20 film fino al 1982. Fassbinder ha anche prodotto La tenerezza del lupo, la seconda regia di Lommel. Nel 1977 si trasferisce negli USA per lavorare con Warhol, produttore di Cocaine Cowboys e Blank Generation (1980). Nel 1980 dirige con successo Mirror – Chi vive in quello specchio?. Nel 1982 dirige Brainwaves – Onde cerebrali, con Tony Curtis e Vera Miles, The Devonsville Terror (1983) e La maledizione dei rubini scomparsi (1986). Dalla metà degli anni 1980 ha diretto diversi film, dal dramma alla fantascienza, ma soprattutto horror.

8) Cheick Fantamady Camara (n. 1960) Inizialmente autodidatta – si dedica alla regia dopo aver frequentato un corso di sceneggiatura all’INA e uno di regia all’Ecole Nationale Louis Lumière. Dopo aver girato nel 2000 Konorofili, il suo primo cortometraggio, seguito nel 2004 da Bé Kunko, debutta nel lungometraggio con Il va pleuvoir sur Conakry (Pioverà su Conakry), che gli vale il premio del pubblico RFI al Fespaco 2007 e il Prix Ousmane Sembène nel 2008 a Khouribga, in Marocco. Un regista africano da ricordare.

7) Tobe Hooper (n. 1943) Considerato uno dei pionieri del genere horror, dopo aver frequentato l’University of Texas, ha insegnato cinema in un college. Ha esordito dirigendo documentari e poi il film drammatico di scarso successo Eggshells (1969), prima di raggiungere la notorietà internazionale con il cult The Texas Chain Saw Massacre (Non aprite quella porta, 1974). Da questo successo oltre al sequel del 1986, H. ha diretto altri successi del genere da Eaten Alive (Quel motel vicino alla palude, 1977) a Salem’s Lot (Le notti di Salem, 1979), ma primo su tutti l’indimenticabile  Poltergeist (Poltergeist – Demoniache presenze, 1982), scritto e prodotto da Spielberg che divenne un altro classico del genere.

6) John G. Avildsen (n. 1935) Particolarmente impegnato nella critica sociale, ha esordito con Turn on to love (1968) seguito da Guess what we learned at school today (Ore 10 lezione di sesso, 1969), Joe (La guerra privata del cittadino Joe, 1970), uno dei film più significativi del nuovo cinema americano, il bellissimo Save the tiger (1973) con un grande Jack Lemmon. Il suo più grande successo è Rocky (1976, due premî Oscar: per il migliore film e la migliore regia),  poi ha replicato con La formula (1980), I vicini di casa (1982) eversiva opera con John Belushi, The karate kid (Per vincere domani, 1984), The karate kid II (1986), The karate kid III (1989), Rocky V (1990), The power of one (La forza del singolo, 1992), Inferno (Fino all’inferno, 1999).

5) Anthony Harvey (n. 1931) Iniziò a lavorare a Hollywood agli inizi degli anni Cinquanta come montatore cinematografico, collaborando con Stanley Kubrick Lolita (1962) e Il dottor Stranamore (1964) ma anche di Nudi alla meta (1959), La miliardaria (1960), La spia che venne dal freddo (1965). Debuttò nella regia nel 1966 con Il treno fantasma.  Nel 1967 Anthony Harvey diresse lo straordinario Il leone d’inverno, per il quale ricevette una candidatura all’Oscar per il miglior regista: il dramma storico metteva in scena Enrico II, re d’Inghilterra (interpretato da Peter O’Toole) e la moglie Eleonora d’Aquitania (Katharine Hepburn).  Tra gli Oscar assegnati al film ci furono quello per la miglior attrice protagonista a Katharine Hepburn (la sua terza statuetta). Tra gli altri film diretti da lui figurano Lo zoo di vetro (1973), La rinuncia (1974), L’ultimo gioco (1979), Io, grande cacciatore (1979), Gli amori di Richard (1980) e Agenzia omicidi (1984).

4) Seijun Suzuki (n. 1923) Tra il 1956 e il 1967 ha realizzato circa 40 film (principalmente B-movie di genere yakuza) per la Nikkatsu. Durante questi anni il suo stile si è fatto sempre più surreale e “artistico”, il che ha provocato le ire della produzione, la quale è arrivata a licenziare il regista in seguito alla realizzazione di La farfalla sul mirino (1967), che è diventato il suo film più famoso. Per 10 anni Suzuki ha lavorato solo per la televisione. Ha ricominciato a dirigere film per il cinema con Storia di dolore e tristezza (1977). Negli anni successivi ha diretto la “trilogia dell’era Taishô”, composta da Tsuigoineruwaizen, (1980), Il teatro delle illusioni (1981) e Yumeji (1991). Insieme a Shigetsugu Yoshida ha co-diretto Lupin III – La leggenda dell’oro di Babilonia (1985). I suoi ultimi due film, Pistol Opera (2001) e Princess Raccoon (2005) sono stati entrambi presentati alla mostra del cinema di Venezia. Discusso, ma senza dubbio regista cult.

3) Károly Makk (n. 1925) Cineasta tra i più qualificati della generazione affermatasi in Ungheria nel secondo dopoguerra, si rivelò con Ház a sziklák alatt (“La casa ai piedi della roccia”, 1958). Ha poi diretto, tra l’altro: Megszállottak (“Gli ossessi”, 1961); Szerelem (“Amore”, 1970); Egy erkölcsös éjszaka (Una notte molto morale, 1977); Egymásra nézve (“Uno sguardo diverso”, 1982); Az utolsó kézirat (“L’ultimo manoscritto”, 1987); Magyar rekviem (“Requiem ungherese”, 1990); The gambler (1999); Egy hét Pesten és Budán (“Il lungo weekend a Pest e a Buda”, 2003). Criptico, ma essenziale per l’est europeo.

2) George A. Romero (n. 1940) Nel 1968 si impose con Night of the living dead, film dal costo irrisorio, girato in totale indipendenza nei fine settimana, la cui trama è un archetipo dell’orrore: un’orda di morti viventi assedia una casa di campagna. Girato in un bianco e nero sgranato e con movimenti di macchina a spalla, con attori non professionisti, Night of the living dead è basato su un dispositivo dalla crudeltà ineguagliata. Gli zombi immaginati da Romero sono cadaveri tornati alla vita per ragioni oscure, privi di qualsiasi movente se non quello di uccidere i viventi, divorandoli. Rappresenta l’immortalità come una condizione spaventosa, riducendo l’essere sopravvissuto alla morte a un corpo putrefatto privo di coscienza. Al secondo film della trilogia, Dawn of the dead, collaborò Dario Argento, scrivendone la sceneggiatura e coproducendolo: il morbo ha assunto dimensioni epidemiche e gli zombi errano in un grande magazzino. L’attacco al consumismo colpisce per la violenta radicalità e il tono satirico è esaltato da contrappunti visivi e sonori che uniscono il truculento all’ironico. Day of the dead conclude la trilogia. I morti hanno invaso il pianeta e i sopravvissuti si sono rifugiati in bunker sotterranei sotto il comando di scienziati pazzi e militari ottusi. Gli zombi vengono usati come cavie di laboratorio e si ribellano facendo strage di umani. Di rilievo nella produzione del regista due altri film La città verrà distrutta all’alba (1973), metafora della guerra in Vietnam; e Knightriders (1981), dove il mondo cavalleresco medievale viene trasposto in una comunità di motociclisti. Con Monkey shines ‒ Esperimento nel terrore (1988), Due occhi diabolici (1990, di produzione italiana e tratto da Poe, in due episodi, di cui uno diretto da Argento) e La metà oscura (1993), ha intensificato l’allegoria politica, rendendo più amara e visionaria la violenza fisica. Nel 2000 ha girato Bruiser – La vendetta non ha volto, ancora un’allegoria in cui un uomo, che vede il suo volto trasformarsi in una maschera bianca, ne approfitta per abbandonarsi a efferatezze e vendette.

1) Jonathan Demme (n. 1944) Formatosi con Roger Corman, ha esordito dietro la macchina da presa con Femmine in gabbia (1975), evidenziandosi per un gusto del nonsense e per un’energia visiva che hanno caratterizzato anche i successivi Fighting mad (1976) e Chroma Angel chiama Mandrake (1977). Con il thriller Il segno degli Hannan (1979) e la commedia Una volta ho incontrato un miliardario (1981) ha mostrato una notevole capacità nella fusione di più generi all’interno della stessa opera. I bruschi cambiamenti di tono, i continui slittamenti narrativi, la costruzione progressiva del ritmo sono stati gli elementi costitutivi dei successivi I commedianti (1982), Swing shift. Tempo di swing (1984), Something wild (1986) e Una vedova allegra… ma non troppo (1988). Ha poi diretto Il silenzio degli innocenti (1991, premio Oscar per il film e la regia), intenso film che esplora i meandri più sconosciuti della mente umana, Philadelphia (1993); Beloved (1998); The Truth About Charlie (2002); The Manchurian Candidate (2004). È stato anche autore del film rock Stop making sense (1984) e di alcuni documentari: Mio cugino, il reverendo Bobby (1992); The Agronomist (2003); Neil Young: Hearts of Gold (2006), documentario musicale; Jimmy Carter man from plains (2007), sull’ex presidente degli Stati Uniti; New Home Movies From the Lower 9th Ward (2007), girato in seguito al passaggio a New Orleans dell’uragano Katrina; Rachel getting married (2008); I’m Caroline Parker (2011); il documentario Enzo Avitabile music life (2012); Ricki and the Flash (2015; Dove eravamo rimasti, 2015).

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