10 attori morti nel 2019

Prima di parlare di questa triste lista vanno ricordati attori che hanno rappresentato simbolicamente qualcosa al di fuori dell’effettivo peso nella recitazione. Certamente va ricordato Peter Mayhew, attore inglese morto a 65 anni, noto per la ragguardevole altezza (2.18 m) ma soprattutto perchè era l’interprete di Chewbecca. L’altro attore da omaggiare è Luke Perry,

stroncato a 52 anni da un ictus. Più che per i film, tanti ma di livello complessivamente mediocre, è stato un eroe televisivo grazie al ruolo di Dylan in Beverly Hills 90210.

10. Jan Michel Vincent (Denver, 15 luglio 1945 – Asheville, 10 febbraio 2019) Dopo una prima apparizione da protagonista nel film della Disney Nanù, il figlio della giungla (1973), divenne una grande promessa del cinema degli anni Settanta, quando interpretò un ruolo da protagonista nel film culto Un mercoledì da leoni (1978). In TV ebbe un notevole successo con due serie: Airwolf (1984-1986), insieme a Ernest Borgnine, e Incontri Stellari, due agenti speciali (1980).  Inattivo dal 2002, dichiarò di aver subito nel 2012 l’amputazione della gamba destra, sotto il ginocchio, in seguito a un’infezione. È morto per un attacco cardiaco, dopo una lunga malattia.

9. Michel Aumont (Parigi, 15 ottobre 1936 – Parigi, 28 agosto 2019) Formatosi al Conservatoire national supérieur d’art dramatique, entrò a far parte della Comédie-Française, di cui diventò socio nel 1965. Attore di primo piano del teatro francese, è stato spesso impegnato nella rappresentazione di testi di Beckett, Čechov, Dostojevski e Shakespeare. Lavorò con grandi nomi della sceneggiatura, che spesso gli affidarono ruoli di commissario, come in Sterminate “Gruppo Zero” (1973) di Claude Chabrol o in Bagarre Express (1975) di Claude Zidi. Apparve anche in Professione…giocattolo (1976) di Francis Veber, Morte di una carogna (1977) di Georges Lautner e Il sostituto (1978) di Jean-Jacques Annaud. Nel corso degli anni ottanta interpretò prevalentemente ruoli secondari, come in Una domenica in campagna (1984) di Bertrand Tavernier. Meno attivo negli anni novanta, apparve nei film L’apparenza inganna (2000), Sta’ zitto… non rompere (2002), Una top model nel mio letto (2006) e Il rompiballe (2008), tutti diretti da Veber.

8. Danny Aiello (New York, 20 giugno 1933 – New Jersey, 12 dicembre 2019) Figlio di immigrati italiani, debuttò nel 1976 con Il prestanome, diretto da Martin Ritt. Ebbe un ruolo minore ne Il padrino – Parte II. Nel 1986 apparve nel videoclip di Madonna Papa Don’t Preach.. Gli anni ottanta sono quelli in cui diede il meglio in ruoli di attore caratterista. La sua interpretazione più celebre è quella del pizzaiolo Sal nel film di Spike Lee, Fa’ la cosa giusta, per il quale fu nominato ai Premi Oscar 1990 come miglior attore non protagonista: ma lo si ricorda anche per l’interpretazione del capitano di polizia nel capolavoro di Sergio Leone C’era una volta in America (1984) e per il ruolo di Monk ne La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen, del 1985.

7. Robert Forster (Rochester, 13 luglio 1941 – Los Angeles, 11 ottobre 2019) Iniziò la carriera di attore nel 1962, recitando nel film Vita o morte, diretto da Daniel Petrie. Interpretò la sua prima parte di rilievo in Riflessi in un occhio d’oro (1967), accanto a Marlon Brando e Elizabeth Taylor, che gli aprì la strada di una prolifica carriera cinematografica, durata oltre quattro decenni. Tra i film che le videro protagonista, da ricordare La notte dell’agguato (1968), Rapporto a quattro (1969), Noi due (1970), The City (1972), Valanga (1974), Vigilante (1983), The Black Hole – Il buco nero (1979), Alligator (1980), Delta Force (1986), e molti altri. Nel 1997 recitò in Jackie Brown di Quentin Tarantino, grazie al quale ottenne la candidatura all’Oscar al miglior attore non protagonista. Tra le sue interpretazioni successive si ricordano Kiss Toledo Goodbye (1999), Mulholland Drive (2001) e Firewall – Accesso negato (2006). Sul piccolo schermo si ricorda nel 2017 il ruolo dello sceriffo Frank Truman nella serie televisiva Twin Peaks – Il ritorno.

6. Rutger Hauer (Breukelen, 23 gennaio 1944 – Beetsterzwaag, 19 luglio 2019) Dopo numerose esperienze in teatro e in televisione, nel 1973 ha ottenuto il ruolo da protagonista di Turkish delight (Fiore di carne). Negli anni Ottanta ha debuttato a Hollywood con Nighthawks (I falchi della notte, 1981) e in seguito ha ottenuto successo planetario con la sua interpretazione dell’androide in Blade Runner (1982, film cult di Ridley Scott, modello per le successive pellicole di fantascienza). In seguito ha dimostrato la propria versatilità cimentandosi in ruoli molto diversi; si ricordano in proposito Ladyhawke (1985), La leggenda del santo bevitore (1988, di Olmi) e i più recenti Sin city (2005) e Barbarossa (2009). Tra gli ultimi film interpretati: The rite (2011), Hobo with a shotgun (2011), Dracula 3D (2011), 2047: Sights of death (2014), The Broken Key (2017), 24 hours to live (2017), Samson (2018), Corbin Nash (2018), The Sisters Brothers (2018).

5. Seymour Cassel (Detroit, 22 gennaio 1935 – Los Angeles, 7 aprile 2019) La prima parte della sua carriera è legata a quella di John Cassavetes, attore e regista simbolo del cinema indipendente americano. Cassel è stato produttore associato del primo film di Cassavetes, Ombre (1959), ed ha interpretato i successivi Blues di mezzanotte (1961), Volti (1968), per il quale ha ottenuto una nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista, Minnie e Moskowitz (1971), L’assassinio di un allibratore cinese (1976) e Love Streams – Scia d’amore (1984). Ha recitato in tre film di Wes Anderson, Rushmore (1998), I Tenenbaum (2001) e Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004). Ha poi lavorato anche con Siegel (Contratto per uccidere, L’uomo dalla cravatta di cuoio) e Kazan (Gli ultimi fuochi).

4. Jean Pierre Marielle (Parigi, 12 aprile 1932 – Saint-Cloud, 24 aprile 2019) Conosciuto per la voce cavernosa, fu vincitore di numerosi premi fra cui il Premio Molière (miglior attore nel 1994 in Le Retour) candidato al Premio César per il migliore attore in tre edizioni diverse (1976, 1992 e 2008) e nominato per il migliore attore non protagonista in quattro occasioni a distanza di più di vent’anni dalla prima (1982, 1989, 1993 e 2004). Ha lavorato, tra gli altri, con Ophuls, Becker, Freda, De Broca, Argento, Blier, Sautet, Tavernier, Lelouch e in Il codice da Vinci di Howard.

3. Peter Fonda (New York, 23 febbraio 1939 – Los Angeles, 16 agosto 2019). Figlio di Henry, ha esordito sulle scene nel 1961 e nel 1963 sugli schermi, affermandosi presto come uno dei volti più significativi dell’anticonformismo giovanile, ma integrandosi poi in un anonimo professionismo. Tra i suoi film ricordiamo: The wild angels (I selvaggi, 1967); The trip (Il serpente di fuoco, 1967); Tre passi nel delirio (1968); The last movie (1971); Futureworld (1976); Split image (1982); The night caller (1992); Deadfall (L’ultimo inganno, 1993); Love and a .45 (1994); Ulee’s Gold (1997); The Limey (L’inglese, 1999); South of Heaven, West of Hell (Vendetta finale, 2000); Wooly Boys (2001); The Laramie Project (2002); 3:10 to Yuma (2007). Come regista ha riscosso un buon successo di critica col western The hired hand (Il ritorno di Harry Collings, 1971), seguito da Idaho transfer (1973) e Wanda Nevada (1979). Il ricordo della sua figura è però indissolubilmente legato ad un film cult del cinema indipendente. Easy Rider (1969) diretto da Dennis Hopper ma sceneggiato anche da lui. Il suo Capitan America resta scolpito nella memoria.


2. Albert Finney (Salford 9 maggio 1936 – Londra 7 febbraio 2019) Dopo un promettente esordio in teatro, si affermò nel cinema inglese degli anni Sessanta nel ruolo di giovani personaggi vitali e inappagati (Saturday night and sunday morning, 1960, di K. Reisz; Tom Jones, 1963, di T. Richardson), dando prova in seguito di una notevole versatilità in ruoli diversi (Murder on the Orient Express, 1974, di S. Lumet; The dresser, Servo di scena, 1983, di P. Yates; Under the volcano, 1984, di J. Huston; Miller’s crossing, 1990, di J. Coen). Ha poi interpretato: Washington Square (1997) di A. Holland; la commedia Breakfast of champions (1999) di A. Rudolph; Erin Brockovich (2000) di S. Soderbergh; Big fish (2003) di T. Burton; A good year (2006) di R. Scott; Before the devil knows you’re dead (Onora il padre e la madre, 2007); The Bourne ultimatum (2007). Non ha mai vinto l’Oscar pur essendo nominato 5 volte. Ha vinto però l’Orso d’Oro a Berlino e la Coppa Volpi a Venezia.

1.Bruno Ganz (Zurigo, 22 marzo 1941 – Wadenswil, 16 febbraio 2019) Grazie alla formazione teatrale e a un volto dall’espressione naturalmente melanconica, è stato uno dei massimi interpreti dello Junger deutscher Film degli anni Settanta: tra i suoi personaggi tormentati e romantici, appassionati e introversi, il conte di La marquise d’O. (1976; La marchesa von…) di Eric Rohmer, il corniciaio di Der amerikanische Freund (1977; L’amico americano) di Wim Wenders, lo sposo di Nosferatu, Phantom der Nacht (1978; Nosferatu, il principe della notte) di Werner Herzog, l’angelo che vuole tornare uomo di Der Himmel über Berlin (1987; Il cielo sopra Berlino) ancora di Wenders e, in tempi più recenti, lo scrittore protagonista di Mia eoniotita ke mia mera (1998; L’eternità e un giorno) di Theo Anghelopulos. Nato da madre italiana e padre svizzero, debuttò molto giovane sul grande schermo. Dedicatosi per un decennio all’attività teatrale, nel 1970 fu con il regista Peter Stein e l’attrice Edith Clever tra i fondatori della celebre compagnia berlinese, di ispirazione brechtiana, Schaubühne am Halleschen Ufer. Al cinema tornò nel 1975, come interprete di Sommergäste, diretto dallo stesso Stein, cui fecero seguito i ruoli interpretati in Lumière (1976; Scene di un’amicizia tra donne) scritto, diretto e interpretato dall’attrice Jeanne Moreau, e soprattutto in La marquise d’O., tratto dal racconto di H. von Kleist, dove disegna con grande efficacia la figura del conte. Un’importante svolta nella sua carriera di attore cinematografico venne segnata dall’interpretazione di uno dei film più significativi di Wenders, Der amerikanische Freund, nelle vesti dell’inerme Jonathan Zimmermann, costretto con la menzogna dal diabolico Tom Ripley (Dennis Hopper) a partecipare a un’azione criminale. Prese quindi parte a Die linkshändige Frau (1977; La donna mancina) diretto dallo scrittore Peter Handke, a The boys from Brazil (1978; I ragazzi venuti dal Brasile) di Franklyn J. Schaffner, per poi recitare in un altro film cardine del nuovo cinema tedesco, Nosferatu di Herzog, remake del film del 1922 di Murnau. Dopo Retour à la bien-aimée (1979) di Jean-François Adam, accanto a Isabelle Huppert, lavorò in Italia con Giuseppe Bertolucci in Oggetti smarriti (1980). Ormai affermato sul piano internazionale, ebbe il ruolo di un aristocratico oppiomane in La storia vera della Signora dalle camelie (1981) di Mauro Bolognini, e quello di un giornalista impegnato in una drammatica inchiesta sul Libano in Die Fälschung (1981; L’inganno) di Volker Schlöndorff, con Hanna Schygulla e Jerzy Skolimowski. Negli anni Ottanta la sua attività in Europa è stata frenetica in campo sia cinematografico sia televisivo: si ricordano soprattutto prove come Dans la ville blanche (1983; Nella città bianca) di Alain Tanner, Un amore di donna (1988) di Nelo Risi, e Strapless (1988; Spalle nude) scritto e diretto da David Hare, dove è molto efficace. Nel 1987 ha interpretato la parte forse più celebre ed emblematica della sua struggente malinconia e vitale dolcezza: quella di Damiel, l’angelo che per amore torna uomo, protagonista di Der Himmel über Berlin e, a distanza di cinque anni, del seguito In weiter Ferne, so nah! (1993; Così lontano, così vicino) sempre di Wenders. L’attività di è proseguita a ritmi sostenuti anche negli anni Novanta, che lo hanno visto interprete in Italia dell’episodio di G. Bertolucci, La domenica specialmente (1991), e in Australia di The last days of chez nous (1992; Gli ultimi giorni da noi) di Gillian Armstrong; è stato quindi impegnato nella produzione franco-tedesca L’absence (1992; L’assenza) di Handke. Dopo il buon successo ottenuto nel ruolo del delicato e malinconico Fernando nel film di Silvio Soldini Pane e tulipani (2000), ha interpretato Epsteins Nacht (2001) di Urs Egger. È stato poi strepitoso in La caduta (2004) di Hirschbiegel dove interprete Hitler, ancora con Angelopoulos in La polvere del tempo (2008) e con il cinema americano di Ridley Scott (The counselor), Francis Ford Coppola (Un’altra giovinezza), Atom Egoyan (Remember), Jonathan Demme (The manchurian candidate). Ha chiuso con La vita nascosta di Malick.

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