Voci dall’abisso

di Massimo Morelli

Il cinema che osserva e racconta il disagio mentale è un argomento così vasto, da richiedere un tempo maggiore per condurre una ricerca più approfondita. Ostacolato da molteplici impegni dovrete accontentarvi di immagini disomogenee, che si affacciano “casualmente” alla memoria. Dal passato che riemerge in “Rebecca, la prima moglie” alla doppia identità del protagonista di “Psycho”, tanto per citare qualche titolo, Alfred Hitchcock è il primo nome che mi viene in mente, come Virgilio con Dante è la nostra indiscussa guida, magistrale in numerose opere a scandagliare il tema nelle sue zone più inquietanti ed oscure

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A “Taxi driver” di Martin Scorsese ed a “Shining” di Stanley Kubrick spetta probabilmente il merito di aver impresso sulla pellicola, meglio di chiunque altro, il volto deforme del disagio mentale che nello specchio si sdoppiain un delirio di gesti e parole.

Percorsi esistenziali dal destino avverso sono al centro di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e di “Un angelo alla mia tavola”: nel film di Milos Forman il rifiuto di sottomettersi, fingendosi folle, all’appiattimento sociale imposto dal potere, non salva chi cerca di sfuggire dalla lobotomia istituzionale.

Al contrario, Jane Campion, si accosta alla vita di Janet Frame sgretolando il pregiudizio che accomuna la pazzia alla creatività e restituisce alla scrittrice neozelandese il riconoscimento del suo talento letterario e la libertà. “L’inquilino del terzo piano” e “Veronika Voss” abitano gli appartamenti del dolore: i luoghi del disagio. Roman Polanski accetta di vivere nella stessa casa che, in precedenza, una donna aveva affittato prima di suicidarsi aprendo la finestra e gettandosi nel vuoto. Inesorabilmente inizierà ad assumere l’identità del precedente locatario fino al drammatico epilogo. Rainer Werner Fassbinder colpisce al cuore con il ritratto, struggente, degli ultimi giorni di vita di una dimenticata diva del periodo nazista, fragile ed impaurita, schiava della droga, prigioniera nel suo stesso appartamento e abbandonata da una dottoressa senza scrupoli ad una morte lenta e crudele.

Infine “Spider” di David Cronenberg e “Mulholland Drive” di David Lynch: ovvero, affogare nel disordine e sprofondare nell’inconscio.

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