100 anni di Orson Welles

Il 6 maggio del 1915 nasceva Orson Welles, uno dei più grandi geni del cinema e uno dei personaggi più straripanti che sia mai apparso sulla scena. Inutile raccontare la sua vita. il suo sfrenato edonismo, gli amori e le opere incompiute. Lasciamo che siano i suoi film a ricordare cosa abbiamo perso. Ha vinto solo un Oscar e solo per la sceneggiatura di Quarto Potere. Una compensazione è certamente venuta però dall’Oscar alla carriera assegnatogli nel 1970. Analogo riconoscimento gli è giunto da Venezia che gli ha consegnato un Leone d’Oro lo stesso anno.

Leggendarie le sue “marchette” in giro per il mondo quando era alla disperata ricerca di fondi per concludere i suoi progetti, trascinati talvolta nel corso degli anni e, purtroppo, quasi sempre conclusisi in mezzo a disastri economici. Leggendaria era la sua voce, prestata anche a cose assolutamente scadenti, soprattutto negli ultimi anni della sua esistenza.E’ morto nell’amata/odiata Hollywood, per un attacco cardiaco, il 10 ottobre 1985. Solo il giorno precedente, aveva partecipato allo show televisivo Merv Griffin Show. Le sue ceneri riposano a Ronda (Spagna), nella hacienda che fu residenza del torero Antonio Ordoñez e dove il diciannovenne Welles trascorse qualche mese durante i suoi vagabondaggi giovanili.

Quarto potere (1941)

Film leggendario, citato in tutti i manuali del cinema per l’innovatività delle riprese, per la profondità dell’immagine. Un clamoroso successo che sarà, anche, praticamente l’unico di tutta la sua carriera.

L’orgoglio degli Amberson (1942)

Nonostante i tagli, il film contiene alcune importanti innovazioni e un magistrale uso a incastro del tempo e dello spazio tipico di Welles. Il budget più limitato non permise creazioni virtuosistiche come in Quarto potere, ma restano straordinari i piani sequenza, i grandangoli, la profondità di campo, grazie soprattutto alla collaborazione del direttore della fotografia Stanley Cortez. Per la prima volta nel cinema venne sperimentata anche la profondità di campo sonora, cioè la presenza contemporanea di più suoni e voci degli attori, che accavallano i dialoghi rendendoli difficili da distinguere, ma anche straordinariamente simili alla vita reale. Celebri sono i titoli di coda letti e non scritti, nei quali Welles si menziona per ultimo.

Lo straniero (1946)

Film più classico rispetto agli altri girati da Welles, ma sempre ricco di innovazioni visive e tagli particolari di inquadratura. Straordinaria la scena finale.

La signora di Shanghai  (1948)

Nessuno ha mai osato tanto con una star di Hollywood quale era Rita Hayworth al momento del film. La Hayworth è stata la sfortunata compagna di vita del genio cinematografico per un breve periodo. Oltre ad una grande infelicità ci ha lasciato anche una delle sue migliori interpretazioni. La scena degli specchi va al di là della semplice catarsi di un film, è una dichiarazione di poetica come difficilmente ci sono state nel cinema.  Non esiste, secondo Welles, una verità ma mille riflessi di essa e tutto va in frantumi prima o poi. Disperato ed indimenticabile noir.

Macbeth (1948)

La riflessione sull’opera di Shakespeare, sempre presente in tutta la sua filmografia, esce dal teatro, suo primo ed indimenticato amore, per approdare sul grande schermo. Welles presta la sua fisicità e la sua voce (la sua immensa voce) alla prima riduzione cinematografica del bardo inglese. E’ una pellicola intensissima in cui, caratteristica precipua del cinema wellesiano, il testo poetico e potente si accompagna ad una visionarietà eccezionale, mai banale, mai inappropriata.

Otello  (1952)

Olivier ci ha dato lo Shakespeare classico, Welles lo ha letteralmente riforgiato, plasmando le opere teatrali a sua immagine e somiglianza. Otello, pur girato tra mille peripezie e con una scarsità di fondi che ha prolungato in modo abnorme la produzione, è un miracolo poetico ed iconografico. Ormai Welles non ha più alcun credito presso le case produttrici americane e si arrabatta per trovare i soldi per autoprodursi recitando in pellicole di scarso valore, svendendo letteralmente la sua persona. Eppure riemerge da questo fango con un nitore ed una purezza invidiabili, capaci di assisterlo nella realizzazione di vere e proprie perle.

Rapporto confidenziale (1955)

Movimenti sinuosi della macchina da presa, angolazioni bizzarre, ombre e sottoesposizioni sembrano giocare con il genere giallo tradizionale, ma Welles usa la sua conoscenza della profondità di campo e il contrasto tra violenza e musica tipo flamenco per dare allo spettatore un altro tratto della sua grande personalità cinematografica.

L’infernale Quinlan (1958)

Il piano sequenza iniziale è da vera antologia, citato in ogni manuale di tecnica cinematografica. Il film è un noir in cui Welles gioca, come al solito, con gli specchi. Lui si abbruttisce ulteriormente per apparire orribile e privo di ogni fascino, la Dietrich si trasforma in zingara mentre Charlton Heston, tipico WASP, viene trasformato in un chicano. Non esiste una verità nel male: tutti ne siamo avvolti.

Il processo (1962)

Kafka, l’altro grande amore di Welles, viene portato sullo schermo con uno spirito vivissimo, capace di ricreare integralmente lo stato d’animo dell’immortale scrittore. Immortale è anche Welles. Al di là dell’atmosfera, perfettamente restituita con il suo carico di angoscia e terrore, resta un bianco e nero usato magistralmente. D’altro canto chi meglio di lui poteva capire cosa significa cadere in un meccanismo infernale che rende impossibile capire cosa accade? Ormai, ogni suo film era diventato un vero e proprio calvario, fatto di stop and go improvvisi, di tagli, cambi di scena, fughe da creditori e da donne con cui era impossibile restare. Una vita al massimo, si può tranquillamente dire.

Falstaff  (1965)

Shakespeare è ancora una volta lo sfondo per raccontare di sé. Falstaff diventa l’alter ego di un attore un tempo considerato sex symbol poi completamente trasformato, ingrassato per la precisa volontà di distruggere il se stesso che considerava irrilevante, magari venduto e tradito. Il suo amore per questo tragico buffone è totale, il film è straziante perché svela la totale irrilevanza degli uomini.

Storia immortale  (1968)

Primo film a colori di Welles. Malgrado la sua durata non sia superiore all’ora, resta una delle sue pellicole più importanti, una sorta di testamento poiché nell’interpretare l’ennesimo uomo solo e apparentemente onnipotente, riflette sulla vanità delle azioni umane, sulla presunzione di voler dare sostanza ai sogni, ossia sul rapporto tra arte e realtà e sull’inevitabile destino di fallimento e morte.

The Other Side of the Wind – incompiuto (1972)

Film incompiuto girato tra il 1970 e il 1976. Le copie, sparse in giro e mai realmente rimontate, sono girate per diversi anni dopo la morte, contese tra gli eredi. Quando sembrava che il progetto potesse vedere la luce grazie all’intervento di Peter Bogdanovich, tutto si è nuovamente bloccato. Annunciato in uscita proprio in questi giorni.

F come Falso  (1976)

Grandissima pellicola che tratta (ancora) del rapporto tra realtà e fantasia, tra immagine e sostanza, tra arte e concretezza, tra vanità ed illusione. Welles è un uomo di grandi principi e di nessuna speranza. E’ un idealista trasformatosi in cinico, ma che non riesce mai a dissimulare l’amarezza di cos’è il mondo e cos’è egli stesso: artista o plagiatore. Noi, a distanza di anni, possiamo tranquillamente dire che era un artista, uno dei più grandi, che il cinema abbia avuto.

Don Quixote (1992) – incompleto

Poteva essere la sua ultima grandissima opera. E’ rimasto un rimpianto che non potremo mai superare.

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