QUANDO LA MUSICA INCARNA L’ANIMA PIU’ SEGRETA DELL’EMOZIONE

di Gianfranco Angelucci

E’ intitolato “Io, un sassetto tra le stelle” il concerto con cui il Meeting per l’Amicizia fra i popoli ha inaugurato l’edizione 2014 intitolata “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza”. E l’omaggio era rivolto a Federico Fellini e Giulietta Masina, nel ventennale della scomparsa, i quali con il film “La Strada”, sessanta anni fa, vinsero il loro primo Premio Oscar, elevando il cinema a opera d’arte in grado di dare voce e rappresentazione all’emarginazione e al dolore. Un film che parlava poeticamente di Redenzione e che Federico riassunse in un’unica frase folgorante: “La Strada è la storia di un’illuminazione, di un trasalimento di coscienza, attraverso il sacrificio di un’altra creatura”. Non so quanto consapevolmente l’autore volesse alludere all’Agnello di Dio, ma questo resta il senso più profondo della trama, che infatti conquistò un pubblico sterminato oltre ogni confine geografico, di lingua e di cultura, e ancora oggi possiede la suggestione per commuovere fino alle lacrime. Grazie anche alla musica di Nino Rota, a quel tema del film che Fellini definiva “spaccacuore” perché riusciva a far affiorare nostalgie, rimorsi, sensi di colpa sepolti in fondo alla coscienza.
Nino Rota, milanese, nato nove anni prima del regista, Premio Oscar con “Il Padrino” di Francis F. Coppola, enfant prodige che elaborava oratori a otto anni, a undici diresse un’orchestra in Francia, a 15 compose la prima opera, “Il principe porcaro”. Era stato l’incontro magico che Federico cercava, l’unico musicista capace di donare alle sue immagini quella ulteriore misteriosa risonanza che la luce da sola non sarebbe riuscita a raggiungere. Nino Rota compose per lui ogni colonna sonora da “Lo sceicco bianco” a “Prova d’orchestra”, nel 1979, l’anno in cui scomparve ma non prima tuttavia di aver ultimato la musica del film con cui Fellini, negli anni di piombo e del delitto Moro, raccontò al Paese e al mondo attraverso un apologo inquietante, la fine dell’armonia e il baratro verso cui stava precipitando l’umanità accecata dall’odio.


Dalle musiche di “La Strada” e da altre sue composizioni, Nino Rota trasse la partitura di un balletto rappresentato al Teatro alla Scala, étoile Carla Fracci e poi Oriella Dorella, da cui si origina la ‘suite’ che il maestro Pier Carlo Orizio ha offerto al pubblico del Meeting, dirigendo la sua “Orchestra Filarmonica del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo”, in una poderosa formazione di circa settanta elementi. Cinquemila spettatori domenica sera hanno affollato l’immenso Auditorium della Fiera per assistere a una esecuzione di 40′ in sette capitoli: Nozze di campagna. “E’ arrivato Zampanò”; Il tre suonatori e il Matto sul filo; Il circo; La rabbia di Zampanò; Zampanò uccide il Matto, e Gelsomina impazzisce dal dolore; L’ultimo spettacolo sulla neve. “Addio Gelsomina”; Solitudine e pianto di Zampanò. I titoli rimandano a melodie indimenticabili, e inconfondibili per chiunque ami il cinema di Fellini; capaci di restituirci nella memoria sonora le vicende di “La Strada”. Che gli organizzatori tuttavia, non rinunciando al contributo visivo, hanno scelto di riproporre in brevi sequenze, intensissime, proiettate alle spalle dell’orchestra su uno schermo gigante, amalgamando in un’unica emozione immagini e suoni, e conferendo allo spettacolo il sigillo di una sacra rappresentazione. A introdurre la serata era stata chiamata Francesca Fabbri Fellini, figlia di Maddalena e nipote di Federico, che nel suo stile sorridente e colloquiale ha saputo non soltanto rammentare il successo planetario del film amato indistintamente da piccoli e grandi della Terra, da teste coronate e da artisti eccelsi come Charlie Chaplin che, dopo aver visto il film, battezzò Giulietta Masina “female Chaplin”, quasi fosse il suo equivalente al femminile; ma ha tratteggiato anche l’amicizia speciale che c’era tra Nino Rota e Fellini, il quale considerava il compositore una presenza angelica al suo fianco. Ha citato quindi padre Angelo Arpa, il gesuita fraterno amico del regista, che alla musica di Rota assegnava la trasparenza delle idee felliniane; e infine ha ripetuto le parole di Papa Francesco, ammiratore della “Strada” al punto da indicarlo come un film “francescano”, da lui tra tutti preferito. Poi la parola è passata alla musica, nel silenzio partecipe e commosso dell’immensa platea che sembrava assorbita dentro un incantesimo. Le marce circensi, le sospensioni oniriche, le melodie degli archi create da Rota, l’avvolgente seduzione dei fiati, i travolgenti pieni orchestrali ottenuti dal Maestro Orizio con una direzione di prodigiosa veemenza e fisicità, hanno creato uno sorta di ebbrezza, di protratta fibrillazione. Allo spegnersi dell’ultima nota il pubblico è esploso in un applauso interminabile; quattro sono state le chiamate per il direttore, con entusiastiche acclamazioni indirizzate all’orchestra e, per essa, al primo violino che ha interpretato con alto virtuosismo il più celebre dei temi rotiani. Uno splendido viatico al fastoso programma di lavoro e riflessioni varato da Emilia Guarnieri per il 35° anno di questa festa soprattutto di giovani, i quali anche domenica in confortante controtendenza hanno dimostrato di quale attenzione siano capaci di fronte alla lezione dell’arte e dei valori intramontabili dello spirito.

 

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