The young pope

The Young pope (2016) ITA di Paolo Sorrentino

Si sa, Sorrentino si ama o si odia: non ci sono mezze misure. Così è stato anche per questa serie che subito si è presentata densa di attese e aspettative. E Sorrentino non ha mancato di confermare le sue doti (o i difetti, come sostengono i detrattori). Il successo è stato grandissimo con un milione e mezzo di visioni sulla piattaforma on demand di Sky, la serie di maggiore successo per la paytv in assoluto. I numeri positivi si confermano anche negli USA dove ha battuto il record di Homeland su HBO, il canale a pagamento che lo trasmette. Anche questo è un primato assoluto per l’Italia.

The Young Pope è una non serie, caratterizzata da una visionarietà estrema, rappresentata dalle inquadrature, dai colori, dalla magniloquenza di alcune scene rese al meglio dalla fotografia limpida di Luca Bigazzi. Qualcuno l’ha definita “una surreale commedia dark che destruttura in chiave pop la fede.” E’ certamente uno sguardo altro rispetto a quanto siamo abituati a vedere. Siamo, infatti, al di fuori di una narrativa lineare e strutturata, anzi Sorrentino ricerca l’ellissi, l’immagine poetica, onirica che sappia parlare più agli occhi e alla profondità piuttosto che alla razionalità.

Di fondo vi è l’ironia con cui l’autore osserva i personaggi dibattersi nei meandri vaticani, in una ronde sublime e grottesca che non si occupa quasi mai di dare risposte teologiche in senso stretto. Perché The Young Pope non è una fiction sulla religione, piuttosto sul potere, sulla vanità degli uomini, sulla necessità degli affetti esattamente in linea con Il divo e La grande bellezza, in continuità perfetta con tutto il cinema sorrentiniano.

Siamo nel cinema puro, nella collazione di momenti che sostituiscono l’azione, di frammenti che restituiscono un’unità à la Fellini, ma di questo paragone Sorrentino certo non si adonta. Siamo anche nel cinema di attori, teatrale in un certo senso, dove giganteggia Silvio Orlando, vero dominus dell’intero lavoro. Qualcuno vi ha visto una volontà macchiettistica nella strutturazione del cardinal Voiello, ma chi l’ha fatto si è limitato alla superficie e non si fa onore ad un attore che ha lavorato su più livelli, rivelando un’inaspettata profondità. O forse, più semplicemente, ha scritto dopo le prime due puntate, senza attendere lo svolgersi dell’intera produzione, ben più complessa di quanto si poteva supporre nell’incipit.

 

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