Tempus fugit

di Massimo Morelli

Come succede ad ognuno di noi anche il cinema si è preoccupato qualche volta di filmare il TEMPO LIBERO, aspettando con impazienza l’uscita degli operai dalle fabbriche di Parigi (Lumiére) o dai cantieri di Oporto (De Oliveira) per poterlo documentare. Ma chi sono e come vivono il tempo libero queste persone che dallo schermo ci vengono incontro? E qual è lo sguardo del cinema su questa realtà dei nostri giorni così affannosamente ricercata? Possono ancora i registi difendere le persone dai pericoli di una vita dedita esclusivamente al lavoro? Denunciano ancora il rischio che si corre mercificando e subordinando la vita alla falsa cultura che si è qualcuno soltanto se si ha un lavoro? E il cinema, come strumento autonomo di conoscenza, ha la maturità necessaria per esprimere e tradurre in concrete proposte una nuova coscienza morale capace di opporsi a questa “cultura” dominante?

Qualche risposta non definitiva a queste domande può essere rintracciata nelle opere di L. Cantet e C. Scott. I due registi affrontano le problematiche del tempo libero attraverso il linguaggio dell’arte che non è confondibile, anche se a volte può essere complementare, con quello del sociologo o del politologo. E’ per questo che dalle pellicole non emergono tesi precostituite, ma storie, intrecci di riflessioni che si fanno immagini, pensieri che si stemperano in emozioni. E’ il caso di “A tempo pieno”, il film di Cantet (premiato meritatamente all’ultimo festival di Venezia nella sezione Cinema del Presente) che delinea con il personaggio di Vincent il ritratto di un uomo qualunque, un consulente finanziario al quale capita di vivere, per cause che resteranno ignote, la tremenda avventura di un licenziamento. Vincent, su scala ridotta, reagisce comportandosi come fanno le grandi multinazionali in tutte le aree povere della terra: per lui la difesa dell’immagine significa innanzitutto la tranquillità della famiglia, che ottiene con la messa in scena di una stabilità sociale in realtà perduta e il reperimento dei capitali avviene truffando gli amici con il miraggio della new economy. Disponendo di molto tempo libero si inventa così un rassicurante lavoro all’ONU come se, grazie a questa recita, riuscisse in qualche modo ad appagare un profondo desiderio: quello di appartenere al mondo sognato-idealizzato-trasfigurato di chi decide, secondo lui, l’avvenire del pianeta. Con la menzogna a tempo pieno, che diventa paradossalmente per Vincent la sua nuova occupazione, il regista sembra riflettere sull’impossibilità per gli esseri umani di esistere senza una ragione sociale e su come sia difficile immaginare un mondo senza lavoro, una lontana utopia, una vana speranza. Cantet pare chiedersi se non esista il diritto di vivere il tempo della disoccupazione come un’opportunità di tempo libero per la ricerca di nuovi valori. Eppure dal lavoro non si sfugge e l’accettazione forzata della conformità è per Vincent, amaramente, la sua sconfitta.

Nel film “In compagnia di signore per bene” la Scott racconta la rottura improvvisa di un piccolo autobus che obbliga l’autista, una ragazza di colore, e sette donne piuttosto avanti negli anni a ridefinire il programma della loro escursione perché costrette a riparare in una casa disabitata e sperduta nel Quebec. Senza provviste di riserva e in una casa poco accogliente, le anziane signore non si conoscono nemmeno. Tuttavia trascorrono qualche giorno in gioiosa armonia e riscoprono il valore dell’amicizia, il piacere della condivisione a livello profondo e in modo sincero di pensieri e sentimenti, il ritorno alla vita. Una storia gradevole, minimalista, stravagante. Eccetto la trentenne M. Sweeney, affermata interprete di musica gospel, nessuna delle altre sette protagoniste proviene da esperienze cinematografiche, ma questo non impedisce che nel film recitino se stesse: dai 69 anni della più giovane ai circa 90 della più vecchia. Un’opera che si segnala per l’assenza di personaggi maschili e dalla quale si diffonde un’affascinante “petite musique”. Non accade niente, ma respira di vita. Non pretende di insegnare nulla, ma rivela tanto.

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