Rapito

Il nostro parere

Rapito (2023) ITA di Marco Bellocchio


Nel 1858, Edgardo Mortara, un giovane ebreo di Bologna, fu rapito dalla casa di famiglia dai soldati papali. Essendo stato battezzato segretamente dalla balia, dovette ricevere un’educazione cattolica.


Marco Bellocchio è universalmente riconosciuto come uno dei registi più significativi nel panorama cinematografico contemporaneo, sia a livello nazionale che internazionale, il che rende superflua qualsiasi introduzione. Rapito ha fatto il suo debutto il 23 Maggio a Cannes, confermando la preferenza del regista per la croisette, che l’anno precedente aveva accolto Esterno Notte, film o serie televisiva (che importa?) di altissimo livello.

Ancora una volta porta sullo schermo un evento della storia d’Italia ma questa volta risale al risorgimento  affrontando un momento determinante della storia d’Italia (il crollo del potere temporale del Papa) attraverso il racconto del “rapimento” del bambino ebreo Edgardo Mortara. La storia, peraltro, sembra così folle che si fa fatica a credere che sia accaduta.

Tuttavia, è abbastanza semplice riconoscere i segni della precedente filmografia del regista anche in questo dramma storico. Il dilemma religioso è trattato con la stessa veemenza di I pugni in tasca e con lo stesso sguardo agnostico de L’ora di religione, così come il rapimento è un tema presente anche nei film su Aldo Moro, come si può notare dal parallelismo tra la scena finale di Buongiorno notte, quando Moro esce dalla sua prigione, allo stesso modo della discesa di Cristo dal crocefisso mostrata in questo caso. E ancora, vi sono le scene oniriche che precipitano nel film come meteore perturbanti e lo stesso sguardo sarcastico sul potere mostrato in diverse occasioni. Tutto questo per dire che Bellocchio è fedele a se stesso in modo assoluto e questo film si dimostra uno sguardo sulla  storia  ma soprattutto una riflessione sulle tematiche accennate.

Diverse sono le figure interessanti che svela. In particolare si concentra su Papa Pio IX, che a volte sembra un orco, altre un sadico rancorso, a volte un buffone, a volte un dittatore sbiadito che cerca freneticamente di mantenere il potere. Il mondo intorno a lui crolla ma tutti mostrano una fede assoluta, tra cui, e qui è l’aspetto sconcertante di tutta la vicenda storica, lo stesso Edgardo che “sposa” la causa del suo rapitore facendone una missione per la vita. Bellocchio ci mostra, così, una brutale convulsione di tirannia, potere e fanatismo mescolati all’indottrinamento gesuitico delle menti dei fedeli/sudditi, un’operazione oscurantista che ha vessato a lungo l’Italia (ricordate I pugni in tasca?).

La regia è forse convenzionale ma ricca di un’enorme forza espressiva, visivamente ricchissima, grazie alla notevole fotografia di Francesco Di Giacomo, e con una colonna sonora operistica di Fabio Massimo Capogrosso di grande efficacia.

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