Fuga da Alcatraz (1979) USA di Don Siegel
Frank Morris è condannato all’ergastolo in una delle prigioni più brutali e disumane. Stanco della sua condizione, decide di elaborare un piano di evasione assieme ad altri prigionieri.
Il film è un ritratto teso e duro della vita in una prigione in cui Siegel dispiega il suo stile secco e antiretorico affidandosi a personaggi parchi di parole e delineati dalla macchina da presa che li pedina ed accompagna.
Eastwood è un uomo solitario che vive della propria rabbia repressa ed è attraverso i suoi occhi che osserviamo la routine quotidiana della vita carceraria di Alcatraz, passato alla storia americana come uno delle prigioni più inumane che ci siano state.
Il modo in cui Siegel sviluppa questa storia è un trionfo della narrativa. Impariamo la disciplina carceraria, apprendiamo i modi disumanizzanti che sono peculiari di questa prigione, incontriamo il sadico direttore e detenuti come Doc, un pittore di talento; English, un amaro bibliotecario nero, e il vecchio Litmus, che tiene un topo domestico, per poi passare alla costruzione del piano di fuga.
Una fuga che non ha nulla di epico e straordinario, ma è quasi banale nella sua semplicità, nella descrizione minuziosa dei gesti, della preparazione, delle lunghe attese per evitare gli sguardi indiscreti dei carcerieri.
La bellezza dell’opera non sta quindi nel momento catartico dell’evasione ma nella narrazione essenziale, nella maestria di saper raccontare gli uomini attraverso la paziente preparazione di una fuga: sguardi, gesti e azioni che si riassumono nel volto segnato di Eastwood, perfetto nel ruolo.