Conoscere la Prima Guerra Mondiale grazie a Kubrick

di Giovanni Scolari

Raccontare la prima guerra mondiale con un film contemporaneo presenta due difficoltà. La prima è la naturale mancanza di pellicole coeve; la seconda si riferisce alla comprensibilità del linguaggio cinematografico degli anni ’30/40 per un pubblico estremamente giovane. Anche negli ultimi anni alcuni registi si sono approcciati al periodo storico, ma spesso a prevalere sono le tematiche particolarmente difficili o una ricostruzione fin troppo esplicita nei dettagli più agghiaccianti. Si deve, quindi, considerare il valore cinematografico dell’opera scelta e l’attenzione mostrata ai particolari dell’epoca. Importante è anche la fonte storica e narrativa alla base del prodotto. Un caso significativo è senza dubbio Uomini contro (1970) di Francesco Rosi, ispirato al famoso romanzo di Emilio Lussu Un anno sull’altipiano. Tuttavia, la scelta è qua ricaduta su Orizzonti di gloria (1957) per la regia di Stanley Kubrick, anch’esso partorito dalla rielaborazione del romanzo omonimo di Humphrey Cobb. È, infatti, un’opera più espressiva per il valore artistico intrinseco e per la valanga di polemiche che ha suscitato. I francesi hanno sempre considerato questo film come un attacco alla patria e ne hanno vietato la distribuzione fino al 1975. Con proteste di piazza e pressioni politiche, il governo francese è riuscito poi ad impedirne la diffusione anche in Belgio e Svizzera. In Spagna, invece, il messaggio antimilitarista è bastato per vietarne l’uscita fino al 1980, appena due anni prima di Full Metal Jacket. Il motivo è la facile verificabilità delle fonti che sono state infuse nel soggetto. Personaggi, unità e luoghi sono immaginari, ma vi sono numerosi documenti a supporto di quanto mostrato: i crimini dei consigli di guerra documentati da Reau, altri libri e la vicenda di Blanche Maupas, una vedova che ha ottenuto la riabilitazione del marito, ricevendone come ricompensa un franco dal governo transalpino.

Il film è ambientato nel 1916 sul fronte franco-tedesco in una località imprecisata subito dopo l’attacco a Verdun che aveva provocato tra febbraio e aprile ben 600.000 morti tra le due parti. Un massacro replicato solo pochi mesi dopo sulla Somme.

In primo luogo va definito il quadro dell’esercito ancora dominato da personale uscito dai ranghi dell’aristocrazia. È fortissimo, infatti, il divario delle condizioni di vita tra le alte gerarchie militari e i semplici soldati sul fronte. I primi vivono da monarchi indiscussi in mezzo ad un lusso sfrenato grazie anche alle residenze nobiliari requisite per esigenze belliche. I secondi sono costretti a sgomitare nelle trincee alla mercè delle condizioni climatiche. A questo andava aggiunta la quasi totale mancanza di igiene e un’alimentazione spesso insufficiente.

L’emergenza nazionale ha reso tutti consci di quanto fosse risolutivo per il futuro di ognuna delle nazioni contendenti, la vittoria nella guerra. La politica, conseguentemente, aveva quasi ovunque ristretto i suoi campi d’azione cedendo il passo agli alti comandi militari che si erano, di fatto, sostituiti ai governi. Le discussioni parlamentari venivano limitate. Chi cercava di inserire elementi critici sulle modalità di conduzione della guerra veniva apostrofato come disfattista ed equiparato ad un traditore. Diventava, perciò, essenziale conquistare il sostegno dell’opinione pubblica alimentando l’amor patrio e controllando i giornali per rafforzare la propaganda. Da qua l’esigenza espressa nel film dell’attacco al formicaio, inutile e folle dal punto di vista strategico, ma efficace per illudere la popolazione sugli sforzi dell’esercito per la vittoria. Da qua la necessità di trovare i responsabili, ovviamente i soldati, per l’insuccesso dell’offensiva, da qua la decisione finale del generale Broulard di mettere sotto inchiesta Mireau allo scopo non di salvaguardare l’incolumità dei prigionieri, ma piuttosto di prevenire un possibile scandalo.

Come già detto la vita nelle trincee era terribile. I fanti rimanevano per lunghi periodi appostati negli spazi sommariamente ricavati in attesa di un ordine. I loro alloggi erano ricavati in luoghi umidi all’interno delle stesse trincee. Si viveva accatastati gli uni sugli altri in uno stillicidio di perdite che non lasciava alcuna speranza. Si usciva solo per rischiosissime ricognizioni notturne come illustrato nel film dove il tenente trova il coraggio solo grazie all’alcol. Ubriacarsi diventava per molti l’unica via di fuga da una realtà intollerabile tanto più che questo veniva distribuito in ampie dosi proprio in occasioni di offensive. Le trincee erano disposte su più linee, collegate tra loro da camminamenti. Proprio in uno di questi camminamenti si avvia il generale Mireau per raggiungere ed informare il colonnello Dax del prossimo attacco. Nonostante le ampollose dichiarazioni del generale e del maggiore, suo attendente, è evidente il loro disagio per i colpi di mortaio che giungono in prossimità delle postazioni francesi. Gli alti ufficiali seguivano la guerra sempre da confortevoli posizioni allocate ben dietro le linee. Lo scontro bellico, il sangue, una volta raggiunti certi livelli, non apparteneva più alle loro esperienze.

L’assalto deciso al formicaio è fin da subito folle. Come tutti gli attacchi di questo tipo, i soldati dovevano uscire dalle trincee sotto i colpi delle artiglierie nemiche, dopo dovevano raggiungere i reticolati posti a difesa delle proprie trincee, successivamente avventurarsi nella terra di nessuno, infine superare i reticolati nemici piombando finalmente sugli avversari con le baionette. Le cose peggioravano se, come nel caso del Formicaio, l’obiettivo dell’offensiva era un fortino posto più in alto rispetto alle truppe attaccanti.

Nella sua presentazione a Dax è lo stesso Mireau a quantificare le perdite in modo chiaramente indicativo: 5% uccisi dai colpi di soldati amici; 10% uccisi nella terra di nessuno, 20% nei reticolati; 25% nella conquista del formicaio. Infatti, come efficacemente schematizzato, nella maggioranza dei casi le perdite erano altissime.

Questa vita logorava, ovviamente, i soldati che cadevano preda dello sconforto e della disperazione. Molti vivevano in uno stato di terrore come nella notte precedente l’assalto al formicaio. Le diserzioni erano all’ordine del giorno così come i tentativi di farsi riformare infliggendosi gravi ferite. Si giungeva così ad una paradossale caccia all’uomo al punto che si negava persino l’esistenza dei traumi post esplosione. Il soldato che incontra il generale nella sua perlustrazione iniziale viene, infatti, schiaffeggiato e poi cacciato non per via del suo evidente stato confusionale, bensì perché deprime i commilitoni. La repressione era spietata. I disertori potevano essere fucilati sul posto o essere condannati a morte in contumacia. Divennero frequenti anche i casi di insubordinazione o di ribellione, atteggiamenti che venivano repressi senza pietà nel sangue.

I motivi si possono ritrovare nei dialoghi tra ufficiali. I soldati, ovvero il popolo, vengono definiti di volta in volta animali inferiori, cani bastardi piagnucolosi oppure bambini bisognosi di severe punizioni. Veniva negata loro qualsiasi forma di coscienza e di umanità. Si disponeva delle loro vite senza alcuna considerazione, ritenendo la morte di centinaia di migliaia di persone un giusto sacrificio per la patria.

Altissima, poi, la presunzione delle gerarchie militari nella condotta di guerra. L’inevitabile insuccesso dell’assalto al formicaio viene, infatti, subito attribuito ai fanti che vengono definiti codardi. Le ambizioni frustrate del generale Mireau lo portano ad inscenare un processo farsa in cui tutto è già scritto. Tre uomini vengono mandati a morte sulla base della casualità e non per un effettivo comportamento negativo. L’intenzione è di dare un esempio. L’atteggiamento del generale si può facilmente accomunare a quanto accaduto in Italia dopo la sconfitta di Caporetto. Il comandante delle forze italiane, generale Cadorna, addossò la totale responsabilità della sconfitta ai soldati accusandoli di vigliaccheria e proponendo fucilazioni di massa applicando il metodo della decimazione (un soldato su dieci scelto a caso veniva giustiziato). Così come Cadorna ha perso il suo ruolo di comando, anche il generale Mireau viene rimosso, ma solo per un calcolo politico, al fine di evitare uno scandalo.

Il vero scandalo sta però nel processo effettuato senza verbali, senza testimonianze, né prove e concluso rapidamente con le condanne a morte dei processati. La fucilazione avviene davanti ai giornalisti, uno spettacolo allestito per mostrare al pubblico che chi ha sbagliato è stato eliminato dall’esercito. Un patetico tentativo propagandistico per nascondere gli errori strategici degli alti comandi militari.

Il film si conclude con il reparto del colonnello Dax che viene rimandato al fronte. La prima guerra mondiale si concluderà due anni dopo per il crollo interno degli imperi centrali. Le vittime raggiungono i 9 milioni, 21 milioni sono i feriti ed i mutilati. Un segno indelebile che resterà nelle coscienze degli europei per molti, moltissimi anni.

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