Boston. Caccia all’uomo. Patriottico

Il nostro parere

Boston. Caccia all’uomo (2016) USA di Peter Berg

Nel 2013 due fratelli ceceni decisero di piazzare bombe artigianali all’arrivo della Maratona di Boston. Le conseguenze furono centinaia di feriti (diversi menomati perennemente) e tre morti, tra cui un bambino di soli 8 anni. Peter Berg racconta sommariamente la fase di preparazione dell’attentato concentrandosi nella ricostruzione della 90 ore intercorse tra le esplosioni e la cattura dei due fratelli. Con stile cronachistico mostra i tanti feriti (molti sono gli amputati a causa della particolarità degli ordigni, riempiti di chiodi proprio per fare il maggior danno possibile a più persone) soccorsi in mezzo al caos, alla disperazione di tanti, all’orrore che coglie gli occhi di chi è presente. Dopo questa fase di confusione, si passa al contrattacco: tutti si sforzano di unire le forze per catturare i colpevoli in una serrata caccia all’uomo che porterà i suoi frutti.

Berg dirige con stile secco e coinciso, pedinando alcuni poliziotti (Tommy Saunders sopra tutti) durante gli eventi di quei giorni. Lo stile non serve però ad evidenziare lo stato d’animo, bensì a rafforzare una visione istituzionale delle forze dell’ordine che lascia perplessi. Tutti quelli che si vedono sono buoni, americani, sensibili ed eticamente irreprensibili, forse per non dare scusanti alle motivazioni degli attentatori. L’intento si può anche condividere ma la sua realizzazione ricorda troppo i film tra cowboy e indiani della vecchia Hollywood.

In pratica Berg traccia tre linee narrative. Detto dei poliziotti, le altre due sono intente a descrivere gli attentatori (niente sul retroterra culturale, ma solo qualche accenno alla loro scarsa intelligenza: decisamente troppo poco) e le vittime. Quest’ultima è la parte meno riuscita. I pochi accenni servono solo a descrivere ideali famiglie da spot pubblicitari colpite dai cattivoni. Davvero una umiliante semplificazione.

 

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