Un cigno reale: Claudia Cardinale

di Gianfranco Angelucci

C’era un lieve disaccordo tra me e Fellini su quale fosse l’attrice più attraente dei suoi film: lui propendeva per Sandra Milo, a me piaceva Claudia Cardinale. Ne ero letteralmente infatuato, al pari del giovane Lorenzo Mainardi (Jacques Perrin) ne “La ragazza con la valigia”. Nel film lei si chiamava Aida, cercava fortuna nei locali della riviera romagnola, troppo appetitosa e di fragile virtù per non essere mangiata viva da maturi ganimede. Il suo volto d’angelo imbronciato e torpido, ripreso in un primo piano strettissimo quando anche Lorenzo si rassegna a lasciarla, sola e di notte, nella stazione deserta di Riccione, è di un’intensità straziante. Zurlini, poeta d’amore, sfiorava con tocchi voluttuosi i lividi dell’anima. Ma l’occhio limpido di Fellini andava molto oltre: Claudia, pur così femminile e carnale, più del peccato rappresentava la salvezza. In quest’ottica fu scelta in “Otto e Mezzo” per interpretare “la ragazza della fonte”, il sogno di purezza, il desiderio di pulizia.

Per tradurre visivamente l’intuizione del regista, l’operatore Gianni Di Venanzo aveva utilizzato per la scena della sorgente una pellicola Agfa sperimentale ad alto contrasto, in modo che al primo apparire di Claudia, indistinta dentro un alone bianco, risaltassero soltanto i due occhi neri. Poi, man mano che la figura si avvicinava, prendevano forma il volto e il grembiule immacolato, aderentissimo sulle curve ad anfora. Nel film è il regista Guido Anselmi (Marcello Mastroianni, alter ego di Fellini) a convocare l’attrice nella stazione termale in cui la storia si svolge. Le spiega il personaggio che ha in mente per lei e le parole suonano simili a una dichiarazione d’amore; Claudia, alla guida della sua Porsche, ascolta quell’inarrestabile alluvione di vaneggiamenti con un’espressione lusingata ma lievemente ironica, sospettosa. Insieme raggiungono di notte una piazzetta medievale, lei in barba all’abito elegante che indossa si siede sulla soglia bassa di una vecchia casa e si abbraccia le gambe slanciate dai tacchi alti, unico dettaglio in luce insieme alle piume di candido marabù che le attorniano il viso. Un cigno reale, una sublime farfalla! Appoggia il mento alle ginocchia e sorride di sottecchi al suo interlocutore, conquistandoci per sempre.

Claudia aveva esordito in Italia a vent’anni con I soliti ignoti (regia di Monicelli) dove rivestiva i panni della sorella siciliana di Tiberio Murgia, gelosissimo, che la teneva segregata in casa. Ma lei trovava comunque il modo di schiudere l’uscio a Renato Salvatori il quale, in quella cricca di malavitosi teneri e inconcludenti, s’era disfatto come pastafrolla. Non diversamente dal produttore Franco Cristaldi, che l’aveva messa sotto contratto appena giunta dalla Tunisia e poi l’aveva anche impalmata. Chi non l’avrebbe fatto pur di rimanerne prigioniero a vita! Claudia Cardinale aveva la pelle di magnolia, il sorriso ammaliatore, lo sguardo di velluto, un seno più dolce della panna montata e il corpo sinuoso di una sirena. E la voce, Dio mio! – quando hanno finalmente smesso di doppiarla – roca, torbida, sgranata, una litania di tentazioni. Uno dopo l’altro l’avevano scritturata i più grandi maestri del momento: Pietro Germi per Un maledetto imbroglio, Mauro Bolognini per Il bell’Antonio, Luchino Visconti per Rocco e i suoi fratelli. Più tardi, sempre con Visconti, sarà il giovane Tancredi (Alain Delon) a smarrirsi con Angelica nell’immenso palazzo fatiscente del Principe di Salina (Il Gattopardo). La filmografia è interminabile, 130 titoli girati in tutto il mondo: da C’era una volta il west di Sergio Leone, a Il circo e la sua grande avventura, a La Pantera Rosa, La ragazza di Bube, Gli indifferenti, Il magnifico cornuto, Vaghe stelle dell’Orsa, Il giorno della civetta, Nell’anno del Signore.

In questa storia risorgimentale di Luigi Magni Claudia interpreta Giuditta, bella da togliere il fiato con le spalle nude e una scollatura vertiginosa da popolana, gli occhi neri, profondi, in cui perdersi senza rimedio e un incarnato del viso di luminosa levigatezza esaltato dagli innumerevoli primi piani di Silvano Ippoliti. La ragazza è combattuta tra almeno quattro uomini, il ciabattino Cornacchia (Nino Manfredi) con cui convive, il fascinoso medico carbonaro Montanari (Robert Hossein) di cui è innamorata, il voglioso cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi) suo aspirante protettore, e il giovane cospiratore Targhini (Renaud Verley) troppo giovane per finire la vita sul patibolo senza aver conosciuto la donna. “Ci sei andata a letto?” Le domanda trepidante Cornacchia; lei scuote la testa per negare: “No, per tera.” Desiderabile fino allo spasimo!

Impareggiabile Claudia. L’ho incontrata per la prima volta sul set di “Amarcord”, dove era venuta in visita insieme a Franco Cristaldi produttore del film. Era estate, indossava un leggerissimo pigiama Palazzo color champagne; Fellini, sornione com’era, mi aveva presentato avvertendola: “Se ti accorgi che ti sviene addosso stai pronta a sostenerlo, è completamente pazzo di te!” Non so cosa sono riuscito a balbettare; credo di essermi appellato alla cieca al segno zodiacale che avevamo in comune: l’Ariete. E di averle anche detto che era l’attrice dotata di maggior talento che avessi mai conosciuto. Non era solo un complimento, ne sono tutt’ora convinto.

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