The dark horse. Salvezza nell’arrocco

Il nostro parere

The dark horse (2014) NZL di James Napier Robertson

La vita di Genesis Potiti, campione di scacchi di origine maori dalla personalità bipolare, è resa con realismo e crudezza in un’opera di buon spessore, girata senza virtuosismi ma sufficientemente solida, ancorché strutturalmente limitato. Il regista, infatti, ha saputo ricreare con ottimo realismo la vita disperata delle gang maori dove il fratello di Gen si è incancrenito, inaridito fino alla morte. E in attesa di quella che sta giungendo per un male incurabile, la sua unica speranza è che il figlio intraprenda la stessa strada, dominata dalla violenza e dal sopruso. Gen, invece, dopo essere stato ricoverato a lungo in una struttura psichiatrica deve ricostruire al sua vita, trovando uno scopo. Il caso vuole che tale scopo sia un gruppetto di ragazzini emarginati che si dedicano agli scacchi seguiti dall’uomo con passione ed orgoglio. Tra loro c’è anche il nipote che Gen vuole salvare dalle band.

Questa parte è la più riuscita, ma il messaggio che Robertson vuole tramandare è limitato da un linguaggio semplice ma piatto, da riprese lineari ma spente, da una sceneggiatura che alterna dialoghi riusciti a momenti poco efficaci

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