La sparatoria. Western antiestetico

Il nostro parere

La sparatoria (USA) 1966 di Monte Hellman

Nel deserto dello Utah il minatore ed ex pistolero Willet scopre che il fratello Coigne è fuggito dopo aver ucciso un uomo e il figlio di lui mentre era ubriaco. All’accampamento in cui Willett e Colley vivono insieme giunge una donna misteriosa che li ingaggia. La donna, però, si rifiuta di dire la destinazione del viaggio. Willet capisce che la donna ha un complice nella sua azione. E’ anche lui un pistolero, ingaggiato per uccidere Coigne. La donna è infatti moglie e madre delle vittime.

Monte Hellman riduce all’osso la narrazione, basandola sulle interazioni umane, senza quasi azioni. Il sentimento che pervade il film è l’angoscia, un vuoto esistenziale in cui vive Willett. L’intero film si basa sulle spalle di Warren Oates, supportato da Jack Nicholson, anche produttore dell’opera. Deludente è l’apporto di Millie Perkins.

Hellman mette in scena un racconto metafisico, utilizzando i canoni del genere western ma svuotandolo di elementi tipici quali il lirismo, l’epica e la violenza. Un gioco al massacro tra quattro personaggi, nel quale la sceneggiatura svolge un ruolo determinante per la scrittura dei caratteri: il solitario e rude Willet, l’ingenuo Coley ed il nevrotico Billy Spear, tutti e tre manovrati dalla donna misteriosa. L’alone di mistero di cui è impregnato il film ammanta i protagonisti, dei quali vengono svelati pian piano i segreti, le fragilità e le ossessioni. Il ritmo lento e dilatato e la fotografia di Nestor Almendros che inquadra magnificamente un deserto infido e sterminato, contribuiscono a farne un’opera unica e imprevedibile. Il finale irrisolto rappresenta un colpo di scena inaspettato

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