Sangue del mio sangue. Specchio familiare

Il nostro parere

Sangue del mio sangue (2015) ITA di Marco Bellocchio

Due sono le parti distinte di questo film. La prima è storicamente datata e riporta il processo fatto a Bobbio nel 1600 per stregoneria contro Benedetta, una suora di clausura, sospettata di aver sedotto Fabrizio Mai, sacerdote, inducendolo al suicidio. Il fratello gemello, Federico, cerca di capire le motivazioni del fratello, anch’egli però attratto dalla ammaliante ancella. La donna viene condannata e murata viva. Federico, diventato cardinale, la incontrerà 30 anni dopo quando Benedetta verrà liberata. Con un enorme salto temporale si passa ai giorni nostri. Il convento è ora diventato la casa di un misterioso conte ma ufficialmente è in stato di abbandono. Un discendente dei Mai, anch’esso dal nome Federico, si presenta come inviato dal ministero per la vendita del bene demaniale.

Il film è nettamente diviso. La prima parte appare filologicamente improntata alla ricostruzione storica dei processi per stregoneria, attenta nel linguaggio, interessante per i diversi elementi di riflessione filosofica del senso della religione. La seconda parte, invece, è straniante, totalmente avulsa da ogni forma di realismo ed anzi immersa nella visionarietà. In entrambe vi è la presenza incombente dell’esperienza di vita del Bellocchio uomo e artista. Il cast è ricco di figure familiari (i figli e il fratello interpreti), impregnato del passato del regista (anche lui ha perso per suicidio il fratello gemello, episodio già al centro di un precedente film Gli occhi, la bocca), ambientato nel paese natale (Bobbio, dove lui ha anche una scuola di cinema e dove ha girato anche I pugni in tasca). Tutto questo per dire come l’opera sia una sorta di processo di autoanalisi del regista (il gatto è lo stesso visto nel suo film d’esordio), una personale rivisitazione del suo vissuto attraverso note tematiche che ha già affrontato (il doppio, lo scontro con la religione, l’oppressione delle istituzioni, partendo dalla famiglia).

Il pubblico non può che sentirsi spiazzato, soprattutto se non conosce il lavoro precedente dell’autore, terreno indispensabile per decrittare quanto appare sullo schermo. Eppure, pur nelle imperfezioni che qua e là emergono, rimane un tessuto narrativo affascinante, un gioco di specchi che colpisce e non lascia indifferenti. Siamo forse lontani da livelli migliori ma si tratta di un’opera personale, particolare che, pur senza emozionare, si ricorda.

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