Poveri ma ricchi. Epigoni

Il nostro parere

Poveri ma ricchi (2016) ITA di Fausto Brizzi

Prima della catastrofe (accuse di abusi e altro), Fausto Brizzi si è concesso il lusso di riportare alla commedia Christian De Sica, sottraendolo al becero panettone e inserendolo in una storiella banale ma spiritosa. Il difetto sta nella ripetizione degli stessi stereotipi in cui tutti gli attori (Ocone compresa) ripetono per l’ennesima volta le solite smorfie, le solite battutacce, i consueti rimpiattini. De Sica è il caciarone, Brignano il timido imbranato, il figlio genio è il deus ex machina che gestisce tutto, come si comprende dal fatto che a lui appartiene la voice off.

La famiglia Tucci è burina, povera e ignorante. Solo il figlio minore è un genio (analisi sociali e teorie deterministe buttate nel cesso in un secondo), la figlia maggiore è dedita solo al cellulare e ai social, lo zio è nullatenente ed incapace, la nonna è un po’ rincoglionita ma ha dalla sua la voce della verità. Quando vincono 100 milioni al Superenalotto impazziscono di gioia e abbandonano il paesello per approdare a Milano, con i vips. Inevitabili le figuracce e le spese folli che riducono la famiglia in povertà rapidamente. La morale è troppo semplice: i poveri sono burini ma buoni di cuore; i ricchi sono snob e poveracci nello spirito. Solo per questo la sceneggiatura è da lapidazione.

Tra battutacce, meccanismi ripetitivi, con un comicità dozzinale, semplice ma efficace, Brizzi conduce in porto un filmetto per le famiglie e per i lunedì televisivi invernali quando conta agganciare il pubblico medio allo schermo. Poca roba, ma esposta con accettabile ritmo.

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