Lo stato delle cose. Il cinema e Trump

Le elezioni americane sono state un vero e proprio shock per l’opinione pubblica mondiale. Tutti credevano, o perlomeno speravano, che l’outsider Trump avesse scarsissime possibilità di battere la veterana Hillary, non potesse sovvertire i pronostici, gli endorsement dei più importanti giornali.

Il cinema, come sempre, ha saputo però interpretare e anticipare i tempi con film che hanno raffigurato il cuore dell’america centrale, di un popolo lontano da quello cosmopolita raffigurato nelle grandi metropoli. Robert Altman già molti anni fa, con Nashville (1974) aveva raccontato questo mondo, oscuro, complesso e ripiegato in se stesso


Illuminante anche la pellicola di Tim Robbins che racconta di come un cantante country, charmant imbonitore, riesce a incantare un popolo desideroso di parole forti, ispirate alla più forte retorica nazionalista americana, orgogliosamente bianca e isolazionista in Bob Roberts (1992)

Nessuno più di Clint Eastwood ha poi saputo raccontare la rabbia e la frustrazione della working class americana in Gran Torino (2008). Il suo Kowalski è l’emblema del popolo che ha girato le spalle ai Democratici perché incapaci di riconoscere il mondo della propria giovinezza, senza le mille nazionalità che snaturano i quartieri rendendoli paesaggi irriconoscibili. Uomini cresciuti dentro ad una fabbrica di cui si sentivano parte integrante e ora ridotti a lavori umilianti, senza più sicurezza e fiducia. Questo popolo ha cercato il candidato che sapeva contenere le loro insicurezze e i timori. Clint Eastwood, non a caso supporter (tiepido) di Trump, è stato colui che ha narrato questa storia

Sarebbe poi curioso capire quanto abbia influenzato il cinema e la televisione nella visione che il popolo si è fatto della Clinton. I colori della vittoria (1998), prima bestseller e poi film, ha fornito un ritratto spregiudicato della donna,  ma letale è stato la sovrapposizione della coppia Frank e Claire Underwood di House of cards. In questa serie, l’alter ego della Clinton appare crudele, egocentrica, immorale, fredda.


Si ritorna ad Altman, infine, il regista esemplare per raccontare i sommovimenti interiori di una nazione immensa, immobile e fluida allo stesso tempo, dove tutto è forte, contrastante e malato. America Oggi (1993)

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