La morte corre sul fiume

Il nostro parere

La morte corre sul fiume (1955) USA di Charles Laughton


Harry Powell, un pastore protestante, si diletta ad uccidere donne rimaste vedove per denaro. Tuttavia, quando ammazza Willa Harper, i suoi due figli gli danno del filo da torcere.


Film straordinario per certi aspetti, non ha mai ricevuto l’attenzione che merita a causa della mancanza dei giusti simboli. Molti “grandi film” sono di grandi registi, ma Laughton ha diretto solo questo film, che è stato un fallimento critico e commerciale a lungo oscurato dalla sua carriera di attore. È un film fuori tempo, poiché negli anni ‘50 utilizza canoni espressionistici per narrare una storia agghiacciante attraverso una grande fantasia visiva che lo rende ancora moderno.

La cittadina in cui è ambientato sembra artificiale come la scena di una cartolina di Natale, la casa di famiglia con i suoi strani angoli dentro e fuori sembra troppo piccola per viverci, e il fiume diventa un set artificiale.

L’opera trae la sua forza sinistra dal mefistofelico protagonista: le parole del reverendo sono diventate famose, la sua malvagità un canone che ispira ancora oggi molti film horror. L’inquadratura di Winters sul fondo del fiume è una delle tante immagini straordinarie del film, che è stata fotografata in bianco e nero da Stanley Cortez, che ha girato “I magnifici Amberson” di Welles. Così anche l’inseguimento che è raffigurato con una sequenza stilizzata che richiama il mondo degli incubi. E la splendida sequenza notturna del fiume utilizza giganteschi primi piani di dettagli naturali, come rane e ragnatele, per sottolineare una sorta di progressione biblica mentre i bambini vanno alla deriva verso la salvezza.

A questa meraviglia visiva si aggiunge la sceneggiatura, tratta da un romanzo di Davis Grubb, e attribuita a James Agee, una delle icone della scrittura e della critica cinematografica americana, allora in preda all’alcolismo, anche se la vedova di Laughton, Elsa Lanchester, non la riconosce come tale. Chi ha scritto la bozza finale? Forse Laughton ha avuto una mano, ma la sequenza finale sognante ed evocativa della Bibbia, con Lillian Gish che presiede agli eventi come un anziano angelo vendicatore è tutta sua.

Robert Mitchum, una delle grandi icone del cinema nonostante la sua reputazione a volte scandalosa e la disponibilità ad accettare progetti incompleti, ha creato un personaggio demoniaco e multiforme che raramente si è visto sullo schermo. Mitchum è straordinariamente adatto al ruolo, con il suo viso lungo, la sua voce roca e i toni setosi di un venditore di olio di serpente. E Shelly Winters, tutta nervosismo e isteria sessuale repressa, è in qualche modo convincente mentre cade prematuramente tra le sue braccia. Gli attori secondari sono come una galleria di archetipi in cui la violenza insita nell’uomo si mostra dietro alla barriera di ipocrisia e meschinità che governa il mondo. D’altro canto l’accusa verso la religione è esplicita ed immediata.

Laughton combina orrore e umorismo in un modo che ha sconcertato critici e pubblico che lo rifiutarono in modo ingiusto. Recuperarlo è un atto dovuto e necessario.

 

 

 

 

 

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