La legge del taglione torna quando non c’è giustizia (In ordine di sparizione di Hans Petter Moland)

di Gianfranco Angelucci

In una società che ha confuso la civiltà con l’impunità, o meglio con l’impunibilità, la tolleranza inspiegabile per ogni più assurdo delitto, genera mostri. Nel senso che il bisogno di giustizia, innato in qualsiasi individuo, si ribella alla logica del diritto formale e di chi lo amministra nelle assemblee legislative e nei tribunali; e vagheggia contro il garantismo a oltranza soluzioni rapide e sommarie. Inutile a dirsi, pericolosissime. Ma la china è inevitabile e la figura del giustiziere appare sempre più gradita alla folla. Non a caso gli schermi e i videogiochi rigurgitano di supereroi tornati prepotentemente alla ribalta, da Captain America a Superman, da Batman a l’Uomo Ragno. Si invoca la legge del taglione, occhio per occhio dente per dente; come viene raccontato nel film “In ordine di sparizione”, prelibato appuntamento di fine di stagione che ci induce a riflettere su un tema scottante.

Lo scenario è l’estremo nord dell’emisfero boreale dove per tre quarti dell’anno la neve cancella il paesaggio sotto un unico manto spesso, immacolato e incontrastabile. Solo le luci di segnalazione punteggiano d’arancione o di rosso lo spazio ininterrotto di quel candido deserto sovrastato da un cielo buio di eterna bufera. Il film si apre con l’inquadratura, indecifrabile a prima vista, di due altissime pareti di neve sollevate da un mezzo meccanico in corsa; e bastano quelle immagini a presentarci un regista di gran razza, Hans Petter Moland, già autore di “Insomnia” con Al Pacino.

A guidare il gigantesco spazzaneve è Nils, un impiegato modello nominato ‘uomo dell’anno’ per la sua dedizione al lavoro. Ma un giorno suo figlio Hans viene ucciso senza ragione nello spogliatoio della palestra, vittima accidentale di un regolamento di conti. Poiché la morte è stata provocata da un’iniezione letale di stupefacenti, la polizia archivia il caso come decesso per overdose, rifiutandosi di avviare indagini e di ascoltare le ragioni del padre. La stessa madre, sconvolta dalla tragica scoperta di un figlio tossicodipendente, entra in conflitto col marito e si allontana da lui. Ma il vecchio Nils, ostinato, non si arrende, trova una pista e la segue; scopre gli assassini del ragazzo, li attrae in micidiali imboscate, e li ammazza. Poi avvolge i corpi in una rete e li precipita nel gorgo di un’immane cascata. L’organizzazione criminale locale interpreta le sparizioni come un’offensiva della mafia serba per conquistare l’intero territorio e il capo, un bellimbusto vegano con tendenze paranoiche, reagisce con sadiche rappresaglie.

Il film è feroce e allo stesso tempo imprevedibilmente spassoso, grazie anche alla presenza di attori superlativi: Bruno Ganz che disegna un ‘padrino’ balcanico memorabile; e lo svedese Stellan Skarsgård, ammirato anche in “Mamma mia!”, in “Millennium” in “Nimphomania”, che incarna il magnifico padre vendicatore. E’ lui il personaggio centrale della trama e della nostra coscienza affamata di giustizia: lo jus naturale, o diritto di natura, già contrapposto negli antichi codici romani al diritto positivo, utile a dirimere le controversie in seno alla società ma incapace di soddisfare il senso morale della persona oltraggiata.

Alberto Sordi nel 1977, i cupi ‘anni di piombo’, interpretava in “Un borghese piccolo piccolo” di Vincenzo Cerami e Mario Monicelli, un padre di famiglia disperato che segregava e torturava il colpevole della morte dell’unico figlio maschio. “Nella valle di Elah” Tommy Lee Jones è un ex militare alla ricerca solitaria e cruenta dei colpevoli dell’omicidio del figlio soldato. Anche Clint Eastwood in “Gran Torino” (2008) è un vecchio malato e testardo che non si arrende ai teppisti e imbraccia il fucile di ex marine fino all’estremo sacrificio. In una comunità organizzata la non certezza della pena per chi delinque crea uno stato di rabbia impotente che può sfociare in qualsiasi avventura autoritaria, essendo ben noto che quando la misura è colma, tra la sicurezza personale e la libertà, il cittadino spaventato sceglie la prima. E questa è la logica abietta sulla quale prosperano anche tutte le mafie e i terrorismi, in assenza di uno stato in grado di colpire rapidamente e severamente chi infrange le regole capitali. A Parigi un ragazzo rom sorpreso a rubare in un appartamento è stato quasi linciato, perché la gente esasperata smarrisce il senso della pietà. Adesso che grazie a migliaia di esami del DNA è stato identificato l’omicida della misera Yara Gambirasio, sentiremo ancora sciorinare attorno a lui le litanie di “nessuno tocchi Caino”?

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