La corte. Il cuore tra i codici

Il nostro parere

La corte (2015) FRA di Christian Vincent

Poter disporre di un attore di così grande sensibilità come Fabrice Luchini consente da anni a molti registi francesi di poter rendere copioni complessi, personaggi frastagliati e franti, con grande serenità. Luchini, infatti, al netto della sua matrice fortemente teatrale, è capace di restituire sfumature caratteriali che altri attori non hanno. E’ un mattatore ma sa anche porgere la battuta ai comprimari, scansarsi dalla scena per offrire spazi agli altri. Certo è anche un narcisista e cerca copioni dove primeggiare, dove il suo personaggio è oblungo rispetto allo schermo, infilato in ogni interstizio della struttura. La curiosità starebbe nel sapere se sono i copioni scritti per lui, o se lui adatta man mano i copioni fino a fagocitarli.

Accade così anche in questa delicata storia d’amore, dove un giudice di corte d’appello, chiaramente solo e malinconico, reincontra tra i giurati la dottoressa che l’ha curato dopo un grave incidente. L’uomo si è innamorato di lei, l’affascinante ma rigida attrice danese Sidse Babett Knudsen (Borgen e Inferno di Ron Howard), ma non ha avuto la possibilità di esprimere compiutamente il suo amore, bloccato dalla risposta dilatoria della donna ai primi approcci. Mentre conduce il processo per un caso davvero orribile di cronaca, il giudice cerca di trovare il modo di parlare alla donna, di aprirle nuovamente il cuore, perché non l’ha dimenticata ed è ancora invaghito di lei.

Struttura convenzionale, rigidamente  teatrale nella sua costruzione, tratteggia il cuore solo e amareggiato di un uomo che vuole riscoprire i sentimenti, una nuova vita che può nascere dall’amore. La contrapposizione con l’oscena realtà (un processo per un infanticidio) permette all’uomo di parlare di etica, senso della giustizia e amore. Cosa può vincere la tristezza di un uomo ripiegato su se stesso, chino sul codice penale per nascondere la propria infinita solitudine?

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