Jeanne du Barry – La favorita del Re

Il nostro parere

Jeanne Du Barry – La favorita del Re (2023) FRA di Maiwenn


Grazie al suo fascino ed intelligenza, Jeanne riesce ad assicurare la propria ascesa sociale, diventando una favorita di Luigi XV di Francia, che la invita a trasferirsi a Versailles.


Con “Jeanne du Barry”, Maiwenn ha il merito di tentare un cambiamento piuttosto radicale: il film in costume la spinge a cambiare a favore di un testo più statico, le riprese sono più ampie e il ritmo meno frammentato rispetto ai suoi film precedenti. Possiamo vedere chiaramente, fin dal prologo, il desiderio di competere con “Barry Lyndon”, soprattutto nell’uso dei 35 mm e nella scelta di una voce narrante letteraria. Tuttavia, sostituisce il sarcasmo con un tono più vicino al racconto, secondo la prospettiva che la sua protagonista posa sul mondo che scoprirà.

È questo approccio, leggermente fuori passo, che risulta il più interessante, anche se può rivelarsi altalenante. La percezione del mondo di Jeanne oscilla tra l’euforia di una bambina e la risata divertita di colei che non si lascerà intimidire. La giovane sognatrice non ci risparmierà nessuno degli elementi attesi della grande storia d’amore tra la ragazza di strada e il monarca, con rinforzi di fuochi d’artificio, lacrime e sguardi penetranti. C’è anche la tentazione di trasformare la sua protagonista in un’eroina impeccabile, costringendo ripetutamente lo spettatore ad ammirare la sua sagacia, la sua indipendenza, la sua cultura e il suo altruismo verso i figli degli altri, fino a quando queste scene piuttosto incongrue ci spiegano, probabilmente con qualche secolo di anticipo, che i neri sono esseri umani.

Mawenn si è chiaramente posta delle barriere e ha reso l’argomento il fulcro principale. Il viaggio dell’ego non è certamente mai lontano, e si possono intuire le fantasie della regista di donna libera, partita dal nulla per raggiungere la cima, lasciando una profonda influenza sulla sua scia prima che la disgrazia la rendesse un’eroina sublime.

La regista ha il merito di non voler iniettare (troppo) riscritture contemporanee, che spesso invecchiano più velocemente dell’epoca rivisitata. E i difetti nel suo film derivano più da un eccesso di sincerità che da un atteggiamento cinico. Il suo stile è poco personale e non raggiunge il tragico romanticismo cui aspirava, spegnendosi nel finale.

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