Il racconto dell’Italia: LA FAMIGLIA di Ettore Scola

di Giovanni Scolari

ETTORE SCOLA: LA VITA E IL REGISTA

Ettore Scola (Trevico, 10 maggio 1931) inizia come collaboratore del giornale umoristico “Marc’Aurelio”. Negli anni cinquanta comincia a scrivere sceneggiature in coppia con Ruggero Maccari, diventando rapidamente una delle firme più acute del cinema italiano. Esordisce alla regia nel 1964, ma il suo primo grande successo lo conseguirà dirigendo Alberto Sordi in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968). Con Sordi realizzerà altri tre film: La più bella serata della mia vita, 1972, alcuni episodi dei Nuovi mostri, 1977, Romanzo di un giovane povero, 1995.  Ottiene un grande successo, poi, con Il commissario Pepe (1969) e Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970). Nel 1974 dirige il suo capolavoro, C’eravamo tanto amati, che ripercorre un trentennio di storia italiana attraverso le vicende di tre amici interpretati da Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Stefano Satta Flores. Nel film, dedicato a Vittorio De Sica, compaiono anche Marcello Mastroianni, Federico Fellini e Mike Bongiorno nella parte di se stessi, oltre ad Aldo Fabrizi e Giovanna Ralli.

Scola, celebrato maestro del cinema italiano, realizza Brutti, sporchi e cattivi (1976), grottesca commedia delle borgate romane con Nino Manfredi, e la storia semplice e poetica di Una giornata particolare (1977), con Marcello Mastroianni e Sophia Loren che avranno entrambi l’onore di una nomination agli Oscar. Nel 1980 il regista tira le somme della commedia all’italiana ne La terrazza, amaro bilancio di un gruppo di intellettuali di sinistra in crisi, con Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant e Marcello Mastroianni. Nel 1982 affronta la Rivoluzione francese in Il mondo nuovo (1982), in cui Mastroianni impersona Casanova. Scola riceve un’ottima accoglienza di critica e pubblico quando dirige La famiglia (1987), commedia che ripercorre 80 anni di storia (1906-1986) attraverso la saga di una famiglia con l’interpretazione di Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli e Fanny Ardant.

Altre opere sono Splendor (1988) e Che ora è? (1989), La cena (1998), Concorrenza sleale (2001). L’ultima sua fatica è un affettuoso omaggio all’amico, collega e maestro Federico Fellini con il documentario Che strano chiamarsi Federico, presentato all’ultimo Festival di Venezia. Peraltro, Scola aveva già esplicitato il suo debito con il regista romagnolo attraverso la fedele ricostruzione del set de La dolce vita nel film C’eravamo tanto amati.

IL FILM

Presentato nel 1987 in concorso al 40º Festival di Cannes, ha ottenuto cinque David di Donatello, sei Nastri d’Argento e una nomination all’Oscar al miglior film straniero. Da ricordare i consueti collaboratori di Scola come Maccari e Trovajoli. Lungo anche il binomio di lavoro e amicizia con Vittorio Gassman. Fa parte dei film corali che Scola ama girare, concentrandosi normalmente in un unico ambiente. In quest’occasione la casa, ma in altre circostanze una sala da ballo (Ballando,ballando) o una carrozza (Il mondo nuovo). Nei film di Scola, infatti, come lo stesso regista afferma, l’azione è dentro i personaggi, piuttosto che espressa in atti o gesta eclatanti: per questo motivo non ha bisogno di spazi. E come sempre il finale è nella mente degli spettatori, poiché il regista ama lasciare insolute le sue narrazioni. In fondo, ammette Scola, questo è “un film sul tempo, su cosa cambia e non cambia” nel corso degli anni.

Le vicende narrate sono in larga parte autobiografiche, anche se appartengono alla memoria di tutti gli sceneggiatori, appunto Scola, Maccari e Scarpelli. Sono “piccole storie” che affrontano il tema della FAMIGLIA con “i suoi vantaggi, affetti, sentimenti ma anche sui pericoli, sugli egoismi, le ipocrisie, le cattiverie.” Il personaggio di Carlo (interpretato da Occhipinti e Gassman) è un po’ il simbolo dell’Italia. È egoista, scostante, indeciso. Non compie scelte: è antifascista, ma non si esprime mai contro il fascismo. Non è un uomo generoso, come si vede nei rapporti con la moglie, i figli ed il fratello.

Il film è molto interessante dal punto di vista della scenografia. Luciano Ricceri ha compiuto un grande sforzo di ricostruzione: attraverso l’arredamento della casa, la storia del ventesimo secolo in Italia si dipana sotto gli occhi dello spettatore. I costumi, il makeup sono ulteriori elementi delle mutazioni antropologiche occorse nel nostro paese. Da ricordare le interpretazioni di Memè Perlini e Renzo Palmer (scomparso subito dopo), nonché una delle primissime apparizioni di Castellitto.

LA CRITICA

Gian Luigi Rondi su Il Tempo 30 gennaio 1987

Otto decenni. Dal 1906 al 1986. In una casa a Roma, nel quartiere di Prati. La vita, la storia di una famiglia. Ce la racconta, dal giorno del suo battesimo ad oggi un insegnante di italiano che, quando comincia a narrare, è vicino al nonno, come lui insegnante, e quando conclude è a sua volta circondato dai nipotini e dai figli. Pronti ad essere fissati in un gruppo fotografico non dissimile dalla dagherrotipia di quel battesimo di ottant’anni prima da cui tutto ha preso l’avvio. La famiglia, il nuovo, grande, bellissimo film di Ettore Scola, scritto in collaborazione con Ruggero Maccari e Furio Scarpelli.

Roberto Escobar su Il Sole-24 Ore 8 Febbraio 1987

Nel paese dei ciechi, chi sarà mai tanto cinico da lamentarsi dei miopi? Oppure: nel paese dell’analfabetismo cinematografico di ritorno, chi avrà mai il coraggio di non esaltare La famiglia di Ettore Scola? Il film è più che dignitosamente girato. E anche più che dignitosamente recitato. Un’eccezione rispetto al livello rasoterra del nostro cinema. E tuttavia i coraggiosi (o i cinici: dipende dalle opinioni) si sarebbero aspettati molto di più da uno Scola alle prese con la “storia” riflessa nel quotidiano.

NOTE CINEMATOGRAFICHE

1906 Il nonno è professore di lettere ed è fiero avversario di Carducci. Non si può non notare come l’unico poeta citato, pur nella sua enorme fama, abbia avuto un percorso ideologico singolare passando dai toni antimonarchici e sovversivi della gioventù ad un cotè reazionario dell’ultima parte dell’esistenza. Un esempio del tipico trasformismo all’italiana?

1916 Nel gioco dei bambini, che richiama la terribile prima guerra mondiale, emerge la retorica patriottica contro il nemico austriaco. Nemico visto da molto lontano, poiché Roma non aveva sofferto della guerra. La retorica è anche presente in libri e riviste per bambini (pensiamo al libro CUORE, per capire).

1926 Siamo nel periodo fascista. Carlo, passivo, si contrappone al cugino Enrico, fisiognomicamente molto simile a Gramsci e Gobetti, che fugge in Francia per scrivere sulla stampa antifascista, morendo nella guerra civile spagnola in difesa della repubblica. Carlo è, invece, concentrato solo sulle proprie personali vicende amorose, non mostra mai un reale impegno. Si limita solo a sottolineare in alcune battute di come i suoi professori universitari abbiano svoltato con il regime, piegandosi alla propaganda.

1936 Carlo insegna al Liceo ma non vuole accettare il giuramento al partito fascista. Il fratello Giulio, invece, ha sposato la causa del regime e gli rinfaccia la sua opposizione, peraltro muta e passiva. Nella telefonata tra Beatrice e Adriana risalta il timore che coglie Beatrice ad ogni riferimento politico della sorella. La donna sa che il regime spia, controlla.

1946 Giulio è il simbolo di coloro che avevano creduto nel fascismo. Egli è stato prigioniero in India e ne è tornato fiaccato, spento. Adelina, la serva ora arricchita dal lavoro dei fratelli nel mercato nero rappresenta l’emersione degli strati popolari del dopoguerra. Un’emersione avvenuta con mezzi non sempre legali, nel caos tipico di una nazione che tenta di risollevarli dopo una lunga guerra, luttuosa e distruttrice.

Una parte dell’appartamento, causa ristrettezze economiche, è stato affittato a dei meridionali che non si vedono mai. Tuttavia, l’episodio è curioso poiché mostra le prime emigrazioni dal sud, legate anche alla costruzione della burocrazia ministeriale.

Carlo fa politica nel PARTITO D’AZIONE, la forza politica guidata da Parri ed ispirata a Rosselli che si dissolverà dopo la durissima sconfitta registrata nelle elezioni del 1948. Un partito che, anche emblematicamente, ricorda come l’intellettuale avulso dai processi storici non riesce ad incidere sulle trasformazioni sociali. Un punto di vista ovviamente condizionato dalla militanza politica ed ideologica del regista.

1956 La famiglia parte per la vacanza al mare. Con questo semplice accenno Scola mostra l’approssimarsi del boom economico, della “ricchezza” degli italiani. Vi è anche un’affettuosa citazione. In sottofondo si sente un clacson identico a quello del Sorpasso, in cui Scola faceva lo sceneggiatore e Gassman il protagonista. Sempre in sottofondo la televisione entra nelle case degli italiani. La notizia sentita nel telegiornale riguarda l’affondamento dell’Andrea Doria, nave da crociera orgoglio della ritrovata competitività nazionale. Carlo vota socialista; siamo, non a caso, alla vigilia dei moti ungheresi che hanno portato alla rottura tra socialisti e comunisti. Scola prende, insomma, le distanze prima dallo stalinismo, poi dalla politica dei carri armati sovietici.

1966 Vi sono degli accenni alla liberazione della donna (la figlia di Carlo lascia il marito per un altro uomo) e alla contestazione giovanile, abbozzata nella figura della figlia di Giulio. La ragazza inquadra subito le debolezze di Carlo mostrando come lo sguardo dei giovani fosse libero, disincantato e acuto. Inoltre, Carlo confida alla moglie degli insulti scritti dagli studenti contro di lui.

1976 È molto interessante la carrellata sui poster che occupano le pareti della stanza di Carletto. È una serie di miti che alla metà degli anni ottanta avevano ancora senso: Cuba, Lenin, Marx, Jimi Hendrix, Majakovskji, Tommie Smith e le Black Panther, Jaco Pastorius, Che Guevara, Linus, Ho Chi Minh, Brecht. È una carrellata molto significativa per capire il melting pot culturale dei movimenti degli anni settanta e per comprendere le basi della controcultura, ora divenuta in molti casi cultura ufficiale.

1986 La fotografia della famiglia riunita sotto il capostipite Carlo è il simbolo dell’Italia riunificata? Difficile dirlo, visto quanto accaduto dopo. Ma è il finale voluto da Scola: aperto ad ogni interpretazione.

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