Call Jane – Una lotta

Il nostro parere

Call Jane (2022) USA di Phyllis Nagy


Nel 1968 in tutti gli Stati Uniti l’aborto è un crimine. Joy è una casalinga di periferia appartenente alla borghesia benestante di Chicago ed è in dolce attesa, ma la gravidanza mette a rischio.


Phyllis Nagy è all’esordio alla regia anche se ha scritto la sceneggiatura di Carol che, come questo film, mette al centro il mondo femminile del recente passato.  “Call Jane” parla di un argomento importante, ma è anche uno studio del personaggio di una donna che, in un’epoca neppure troppo lontana, capisce che può affrancarsi, contando sulle proprie forze, da una passività frustrante che inebetisce.

La regia attenta ai dettagli e ricca di sensibilità è talvolta discontinua ma riesce con un carattere d leggerezza ad affrontare un tema difficile che poteva assumere una drammaticità come in altre circostanze. Praticare un aborto, come una “mammana” poteva essere qualcosa di violento e cupo. Nagy punta, invece, a tenere lo sguardo della protagonista che trova un riscatto nella lotta per l’aborto.

Particolarmente riuscite sono le prove di Elizabeth Banks e di Sigourney Weaver. La prima è brillante e sensibile con un tocco di grazia e leggerezza che danno profondità al personaggio, La seconda è in ruolo come non le capitava da tanto tempo, irresistibile e magnetica.

Se la narrazione di Call Jane è in gran parte dipinta con i numeri, la sua scena finale evita tutte le solite convenzioni del racconto storico romanzato. A una festa celebrativa per la chiusura del Jane Collective dopo Roe v. Wade nel 1973, i membri, a turno, gettano nel fuoco gli schedari mentre leggono i dettagli di tutte le donne che hanno aiutato. La regista Phyllis Nagy si astiene giudiziosamente dall’inserire didascalie che ci raccontano cosa è successo dopo. Ci rimangono i nomi, le circostanze, le grida di aiuto di allora come adesso e la consapevolezza che c’è ancora molto da bruciare.

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