Blade Runner 2049. Prosecuzioni

Il nostro parere

Blade Runner 2049 (2017) USA di Denis Villeneuve

Chi ha visto il bellissimo Arrival, può comprendere facilmente perchè Villeneuve era il regista giusto per riprendere uno dei film cult più amati di sempre. Solo lui poteva richiamare la megalopoli di Los Angeles – solcata da oggetti volanti, piena di insegne pubblicitarie, brulicante di un’umanità disperata – mostrata da Scott nell’originale con l’aggiunta di sequenze notturne, cupe, alienate alternate a nuovi paesaggi post-apocalittici virati in ocra e rosso. Solo lui poteva, con l’aiuto della fotografia di Roger Deakins, immaginare il completamento di un mondo chiuso in se stesso, sottomesso al megalomane Wallace (Jared Leto) che, dopo aver acquistato la Tyrell, ha costruito una nuova stirpe di replicanti che deve necessariamente eliminare gli ultimi esemplari della generazione precedente.

Trent’anni dopo i fatti del prototipo, K (Ryan Gosling), cacciatore di “lavori in pelle”, si deve scontrare con  il gigantesco Sapper Morton (Dave Bautista). Anche K è un replicante che vive con Joi, un bellissimo ologramma, che può dargli una parvenza d’amore. Perchè anche l’amore diventa un’illusione, così come i ricordi che sono solo impianti nella testa dei replicanti. La scoperta di un bambino, nato da un’androide (la Rachael del prototipo?), sconvolge tutti e la ricerca di questa creatura, eroina di una nuova razza, spinge Luv, la creatura di Wallace, ad una caccia spietata. Ci sono poi molti colpi di scena che è opportuno non citare per non rovinare la sorpresa, a parte il ritorno di Deckard, interpretato ovviamente da Harrison Ford.

Villeneuve e gli sceneggiatori Fancher e Green hanno rispettato con grande intelligenza lo spirito del prototipo, citando in modo coerente e funzionale allo sviluppo del racconto che è una straordinaria prova di cucitura e rielaborazione non solo del film ma anche del romanzo ispiratore di Philip K. (caso?) Dick.

Vi sono momenti notevoli, come la lotta tra K e Deckard nel locale in cui sta cantando un ologramma di Elvis e gli ambienti dove vivono bambini lavoratori in stile Dickens, segnale di un mondo che ha ampliato le divisioni sociali.

Il talento del regista canadese emerge nitido, chiaro.

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