Artisti, banche e capolavori per ricordare

di Gianfranco Angelucci

Il 1972 è l’anno di uscita nei cinema del film “Roma”, un capolavoro poco visto e poco ricordato. Eppure da solo sarebbe più che sufficiente per commemorare Fellini nel giorno della sua scomparsa; è un tale condensato della poetica e dei temi narrativi cari all’autore che su ogni sequenza si potrebbe svolgere utilmente un convegno: Via Albalonga, il teatrino della Barafonda, i bordelli, il defilé ecclesiastico, il rifugio antiaereo, il raccordo anulare, la Festa de’ Noantri, il raid finale dei giovani in motocicletta lungo le strade e i monumenti della Capitale.

“Roma” era nato per emanazione quasi fisiologica dall’opera precedente, “I clown” realizzata da Elio Scardamaglia per la RAI ma poi distribuito regolarmente anche nelle sale. Alcune settimane di lavorazione del film vennero a cadere in piena estate quando la Capitale assume, se possibile, un aspetto ancora più indolente e affascinante. Fellini girava preferibilmente di notte e il caravanserraglio della produzione si spostava da uno scenario all’altro, da Piazza di Spagna al Colosseo, da Piazza del Popolo a Trastevere, creando ogni volta un evento a sé.

Tutta Roma sembrava partecipare con eccitazione a quella “festa mobile”, come l’avrebbe definita Ernest Hemingway. Sul set arrivavano in visita politici, alti funzionari televisivi, divi americani, incantevoli donne in passerella, agenti internazionali, prelati, direttori di giornali, colleghi del cinema; e oltre le transenne si affollava instancabile la ressa di curiosi, di turisti, di generici aspiranti a un ingaggio. Nelle pause tra una ripresa e l’altra, mentre si cambiavano le luci, a sorpresa arrivava su un tavolino da campo il cocomero tenuto in ghiaccio; veniva spaccato dagli attrezzisti e servito tra esclamazioni di gioia agli ospiti del regista.

A notte fonda, prima che il cielo iniziasse impercettibilmente a schiarire, veniva dato lo stop, le torrette dei proiettori venivano smontate, i camion si rimettevano in marcia in fila indiana per tornare a Cinecittà. Appuntamento alla sera successiva, in un altro angolo di Roma, per proseguire la ‘scampagnata’. Il film aveva rischiato di naufragare finanziariamente se non fosse intervenuta in extremis la Banca Nazionale del Lavoro a rilevare il “girato” e consentire così la conclusione delle riprese. L’opera d’arte in grado di sfidare i secoli nasce per tradizione dalla combinazione quasi alchemica tra poderose personalità creative complementari, dall’incontro tra genio e potere, tra sublime talento artistico e lungimiranza di ‘governo’. Brunelleschi non avrebbe mai potuto erigere la rivoluzionaria cupola di Santa Maria del Fiore se alle sue spalle non ci fosse stata L’opera del Duomo sostenuta dai ricchi banchieri fiorentini; senza i quali lo stesso Giotto, prima di lui, non avrebbe innalzato il suo meraviglioso Campanile. La giottesca Cappella degli Scrovegni a Padova era sorta per assicurare la salvezza all’anima del ricco strozzino timorato di Dio il cui nome oggi ammiriamo con gratitudine. Nel Rinascimento artisti e committenti hanno alimentato un secolo d’arte impareggiabile che ancora consegna l’Italia all’ammirazione universale.

Dopo gli imperatori romani che rivaleggiavano in grandiosità, sono stati i grandi Pontefici della Chiesa a rendere l’Urbe una delle più stupefacenti capitali del mondo con le opere di Raffaello, Michelangelo, Bernini, Borromini. L’artista progetta in grande se la società e l’epoca in cui vive hanno bisogno di lui e lo sostengono, altrimenti si rifugia nel minimalismo. Federico si rammaricava di non essere vissuto al tempo dei principi illuminati: “Il contratto che firmo con il produttore – affermava – equivale per me alla veste bianca del Papa”. E in “Roma” alla fine del defilé ecclesiastico mette in scena un pontefice sfavillante e remoto in un tripudio di campane e una cornice di raggi dorati.

1992, altra ricorrenza simbolica. In un periodo di stanca seguito al film “La voce della luna”, Fellini accettò la vantaggiosa proposta di realizzare i filmati per la campagna pubblicitaria di un nuovo gruppo bancario. C’era stata la fusione della Banca di Roma con il Banco di Santo Spirito e la Cassa di Risparmio di Roma, e il nuovo presidente Cesare Geronzi per assicurare immediato consenso e visibilità alla sua impresa sognava di ingaggiare Fellini.

La strada fu spianata da Claudio Ciocca, proprietario del Fico Nuovo, un ristorante di Grottaferrata sui colli romani in cui Fellini era di casa (Ciocca figurava in piccoli ruoli fin da “Prova d’Orchestra) e anche Geronzi era un cliente assiduo. Fu la moglie del banchiere, Giuliana, signora raffinata e spiritosa, che appena si creò l’occasione di incontro avanzò la proposta. Sembrava un gioco, uno scherzo, e invece passo dopo passo l’iniziativa andò a buon fine. Per realizzare gli spot Federico ricorse addirittura al suo segretissimo Libro dei Sogni, ne strappò tre pagine e tramutò le storielle oniriche in altrettante piccole sceneggiature. Chiamò ad interpretarle Paolo Villaggio nella parte del sognatore e Fernando Rey nella parte dello psicanalista, oltre a una radiosa ragazzina agli esordi di nome Anna Falchi.

Durante l’estate del 1991 girò i tre spot nell’agro romano e gli interni a Cinecittà; ricostruì un treno a vapore di compensato che correva su binari disegnati a terra, fece erigere un albero fronzuto con scheletro metallico, stendere una pista di pattinaggio invisibile nell’erba alta, e per rendere meglio il rigoglio dell’estate diede istruzione allo scenografo di piantare in mezzo al verde campestre finti papaveri rossi e altri fiori colorati. Utilizzò persino un leone del circo Orfei e nel 1992 apparvero in TV i suoi filmati con il marchio del nuovo istituto di credito. Tre capolavori in miniatura, le ultime pellicole impressionate dal genio del Maestro, che esistono soltanto grazie a un banchiere, un ristoratore, una signora spigliata e un artista rinascimentale del XX secolo. E questa è l’arte.

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