Arance e martello. Non tutti possiamo essere Michele Apicella

Il nostro parere

Arance e martello (2014) ITA di Diego Bianchi in arte Zoro

Una giornata di follia a Roma. In piena estate giunge la notizia che un mercato rionale sarà chiuso dalla giunta capitolina. I commercianti esasperati occupano una sezione locale del Pd e prendendo in ostaggio un gruppo di militanti politici. In mezzo a loro c’è Diego, il regista anche attore, che sta girando un documentario e si trova implicato nella vicenda come testimone.

Grazie a questo canovaccio, Bianchi racconta la sua visione della sinistra, la sua visione del PD, la sua visione della televisione, la sua visione dell’emigrazione, la sua visione della politica italiana. Ma non tutti possono essere Michele Apicella e forse non è un momento così epocale per sentire il parere di Diego Bianchi ritenendolo credibile.

La sua fonte di ispirazione non è, però, Moretti ma Spike Lee cui concede una citazione mostrando scene di Fa la cosa giusta in televisione. Siamo lontani anni luce dal regista americano, anzi non ci allontaniamo dal cinema dell’ombelico o del tinello cui si è rinchiuso il nostro cinema. Togli, infatti, la contingenza politica, l’analisi di ciò che dovrebbe essere la sinistra e cosa resta? Davvero poco per interessare un pubblico che non sia autoreferenziale.

I pregi. Ci sono scene e battute simpatiche. Alcuni momenti sono costruiti abbastanza bene.

I difetti. La recitazione è spesso pressapochista. Ci sono delle sciocchezze su Pasolini ed il comunismo che Bianchi si poteva tranquillamente risparmiare. Insomma, la sceneggiatura è bruttina perché all’autore manca una cosa importante: l’umiltà.

 

 

 

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