Un malinconico specchio

di Gianfranco Angelucci

Qualcuno ha già sottolineato che Cannes 2012 è stato il Festival delle ‘limo’, le esagerate berline di New York al centro di almeno due film, compreso “Cosmopolis” di David Kronenberg, con Robert Pattinson vampiro per signorine prestato con inevitabile associazione all’alta finanza. E la metafora della limousine potrebbe facilmente essere assunta a giudizio generale della kermesse appena chiusa considerata un’edizione di transito, ovvero di passaggio in auto di lusso.

Lo stesso direttore Thierry Fremaux ha dichiarato che non si può pretendere di far centro per tre stagioni di seguito. Come italiani dovremmo essere contenti, intanto perché avevamo alla guida della giuria il nostro Nanni Moretti, il quale umorale e autoritario (ha imposto ai giurati di spegnere i telefonini in sala, seppure silenziati, perché con le loro lucine disturbavano la proiezione; sacrosanto!) ha svolto bene la sua parte; e lo dimostra il Grand Prix assegnato al film di Matteo Garrone, “Reality”.

Lo meritava? E chi lo sa, dovremo aspettare che esca per formarci un’opinione non affrettata. A orecchio temo che il film sia una baracconata in cui il regista si costringe da solo a spendere quel credito di ‘autore visionario’ che gli è stato aperto troppo in fretta sullo slancio ideologico. La storia è quella di un pescatore partenopeo che viene selezionato per un Reality Show, il sogno a occhi aperti di ogni cittadino medio per ottenere rapidamente celebrità e soldi, due idoli incontrastati della nostra epoca. Naturalmente la nuova condizione gli sconvolgerà completamente l’esistenza. Parodia? Citazione? Il tema della televisione che altera fino a distorcere pericolosamente i connotati della quotidianità era già stato affrontato da Federico Fellini, e a quali vertici!, in “Ginger e Fred” mettendo in scena due anziani ballerini di varietà (Marcello Mastroianni e Giulietta Masina) che partecipano a un programma TV per vecchie glorie intitolato “Ed ecco a voi…!”

Un collega da Cannes dopo aver visto il film di Garrone mi ha inviato un messaggino dicendo che il giovanotto “fellineggiava spudoratamente”; una scelta che non depone a suo merito. L’utilizzazione nel ruolo di protagonista di Aniello Arena, un ergastolano sia pure di talento (i napoletani hanno il teatro nel sangue) solleva nei critici più nostalgici antichi entusiasmi neorealistici, di quando gli attori si prendevano dalla strada; e rappresenta una singolare rima con il film “Cesare deve morire” dei Fratelli Taviani trionfatori al Festival di Berlino, un dramma shakespeariano girato nel carcere di Rebibbia con un cast di detenuti.

A causa della corruzione in cui siamo platealmente immersi gli stranieri ci vedono forse una nazione ormai agli arresti, dove in penuria di una società civile i nostri cineasti sono costretti a realizzare i loro prodotti nelle celle dei penitenziari? Può darsi che, surrettiziamente, emerga dall’enfatica disponibilità anche tale colorito preconcetto. Di fatto la stampa inglese e francese non è stata tenera nei giudizi; però Moretti grazie al suo carisma sarà riuscito a far pesare il precedente ‘palmares’ del collega conquistato con “Gomorra” nel 2008; oppure a sfruttare un argomento diplomatico non secondario, l’opportunità di lanciare il segno di una rinnovata amicizia tra Francia e Italia all’indomani del cambiamento di rotta avvenuto nel nostro Paese con il governo Monti e dell’elezione di Francois Hollande all’Eliseo.

Terzo italiano alla ribalta Bernardo Bertolucci, fuori concorso e in carrozzella, con un film non carcerario ma quasi. “Io e te” tratto dal romanzo di Niccolò Ammanniti è interamente ambientato in una specie di cella, una cantina, rifugio di due fratellastri adolescenti e malati di incomunicabilità che imbastiscono una storia d’amore non consumata. Altro che Italia pizza e mandolini!

Ma il panorama generale della Croisette non lascia alcuno spazio all’ottimismo. Vincitore della Palma d’Oro risulta il film dell’austriaco Michael Haneke, classe 1942, regista di indiscutibile rigore al suo secondo riconoscimento in tre anni. “Amour” interpretato da Jean-Louis Trintignant, 81 anni e Emmanuelle Riva 85, racconta il disfacimento della estrema vecchiaia, sia pure sostenuto da una ‘pietas’ di coppia. L’Europa di scruta preoccupata e malinconica allo specchio.

 

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