The Fabelmans – Dov’è l’orizzonte?

Il nostro parere

The Fabelmans (2022) USA di Steven Spielberg

La vita di Sammy e della sua famiglia, i Fabelmans, dal primo incontro da bambino con il cinema fino a quando deciderà di cercare fortuna nella settima arte. In mezzo dolori, gioia, insegnamenti. Spielberg racconta la propria autobiografia.

  1. Le persone che sanno di avere talento devono impegnarsi, non sprecarlo; ma più ferocemente si impegnano, più possono trascurare i propri cari. Un artista è egoista per natura, non può che concentrarsi su se stesso, pur sapendo di rischiare la solitudine.
  2. Il cinema può essere utilizzato non solo per raccontare storie e fare belle foto, ma anche per farsi degli amici; placare o manipolare i nemici; corteggiare potenziali partner romantici; affascinare e umiliare; mostrare alle persone un sé migliore che potrebbero aspirare a diventare; proteggere l’artista dalle ferite durante i momenti dolorosi; appianare o ostacolare la verità e mentire apertamente.
  3. Il cinema è memoria e leggenda. Vede cose che l’occhio non coglie e può svelare la verità, per quanto terribile possa essere. È anche il perpetuare di uno sguardo verso l’orizzonte che il mitico incontro con John Ford (un colpo magistrale farlo interpretare da David Lynch) svela essere l’unico modo di narrare una storia.
  4. Termine accostato al cinema europeo cui Spielberg non si sottrae. The Fabelmans è ricco di citazioni, richiami, risvolti, riflessioni, omaggi. Le chiavi di lettura sono numerose ed è meraviglioso vedere come il regista abbia costantemente richiamato se stesso in un gioco di specchi che è anche una confessione. È il suo Otto e mezzo.
  5. A cuore aperto. Spielberg si denuda l’anima con estrema sincerità. La sua memoria ritorna alle origini, psicanalizzandosi, ricercando i meccanismi mentali che lo hanno indotto ad essere prigioniero del cinema. E si spiega straordinariamente la sua vorace curiosità verso i generi, il desiderio di esplorare nuovi territori, l’entusiasmo fanciullesco che caratterizza gran parte della sua produzione. Ma anche la necessità di raccontare l’antisemitismo con la tragedia della Shoah. Tutti questi elementi sono visibili.

In questo modo Spielberg, giunto alla sua trentaquattresima pellicola, all’età di 76 anni ci vuole lasciare una sorta di testamento spirituale. Si guarda indietro, rivede se stesso agli esordi e con nostalgia si racconta. Lo fa senza retorica, ma con un’asciuttezza che spesso gli è mancata in passato. Il ritratto familiare è fatto in punta di penna, profondo e comprensivo. Il suo è un atto di amore verso il cinema, per quello che gli ha dato, ed un commovente messaggio allo spettatore. Lasciatevi conquistare dalle immagini, tornate bambini.

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